Migrante muore suicida nel CPR di Torino

Il 9 maggio, a Ventimiglia un ragazzo della Guinea è stato massacrato a colpi di spranga da tre giovani italiani. Si chiamava Moussa Balde, aveva 23 anni. Così si è scoperta l’irregolarità della sua presenza sul territorio nazionale ed è stato rinchiuso nel CPR (Centro Permanente per i Rimpatri) di Torino, in Corso Brunelleschi.

Mentre l’aggredito è rinchiuso in gabbia, sugli aggressori pesa una semplice “vaga” denuncia. E’ la normale amministrazione in un paese razzista.

Moussa domandava: “Perché sono qui? Quando mi fate uscire?”. Moussa non ha resistito: sofferente, confuso, disperato, ieri notte si è impiccato con le lenzuola alle sbarre della propria cella. Lo hanno trovato morto, non c’era più nulla da fare: suicidio! Si aprirà un’inchiesta?

Ancora una volta il trattenimento a fini di rimpatrio ha provocato la morte. E’ l’opacità delle Istituzioni sulla gestione dei rimpatri dei migranti che provoca vittime: quando “i trattenuti” nei CPR non vogliono morire si fanno del male, i casi di autolesionismo sono tantissimi!

Sono moltissime le resistenze da parte di chi gestisce il CPR ad una corretta gestione medica della salute mentale (la GEPSA, impresa che gestisce 60 centri di detenzione in Francia e in Italia). Risulta anche che permanga tuttora una gestione delle cartelle cliniche dei “trattenuti” che non corrisponderebbe ai criteri e alle linee guida della deontologia medica: una visita ogni 15 giorni da parte di un medico del Dipartimento di Salute Mentale, e non risulta che gli psichiatri del DSM accedano direttamente alle aree per verificare le condizioni dei “trattenuti”, né che possano accedere a loro discrezione al CPR qualora lo ritengano necessario. Se gli operatori, con nessuna competenza medica, si accorgono che un “trattenuto” ha problemi di tipo psicologico, lo segnalano e “il trattenuto” viene confinato nello “ospedaletto”, l’area è paradossalmente la più lontana dalla palazzina nella quale vengono svolte le visite (un’area di isolamento). Gli operatori sono gli unici ad accedere alle aree dei “detenuti” e questo crea un gravissimo problema di accesso alle cure. Tutto ciò è inaccettabile in un paese civile, i risultati poi sono quelli che vediamo!

Non c’è altra soluzione: i CPR devono essere chiusi e cancellato il reato di immigrazione clandestina in tutta Europa, solo così sarà possibile la libera circolazione delle persone nel mondo e un’accoglienza civile. Solo così può essere salvaguardato il diritto d’asilo!

Arci Solidarieta Cicloofficina Thomas Sankara

2 commenti

  1. È giusto chiudere ma sulla base dell’esperienza di chi ha provato e anche riuscito a chiudere i manicomi ci vuole molta determinazione e conoscenza di quel mondo. A Torino c’è una persona che la sa lunga…Annibale Crosignani. È anziano e burbero ma forse qualche suggerimento potrebbe darvelo per evitare di chiudere e poi trovarsi in un disastro.
    Fatemi sapere!

  2. Grazie Patrizia. C’è un movimento che da tempo lavora per queste e altre soluzioni. Ci sono gli avvocati dell’Asgi. Associazioni come la nostra… Ciò che manca, insieme alla cultura della libertà, è la politica, attenta all’ordine delle cose e alla propria autoconservazione.
    Marco

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