I social in Medio Oriente …di Chiara Cruciani

L’arrivo di Clubhouse, la relativa crescita delle app “tradizionali”, la legislazione repressiva che si modernizza. Ma sempre censura è.
Con la crescita degli utenti cresce il controllo. Comunque gli hastag non hanno ancora sostituito la piazza.


…Diamo un’occhiata ai numeri al gennaio 2021, raccolti da Data Reportal. Se in Yemen l’accesso a internet è pari solo al 26,7% e gli utenti dei social sono appena tre milioni su una popolazione di 30, in Qatar la rete è accessibile a tutti e il 99% dei qatarioti ha almeno un account social.
In Palestina gli utenti sono tre milioni, il 60% della popolazione, nel Libano e nell’Iraq delle proteste anti-settarie rispettivamente il 64% (4,3 milioni) e 61,4% (25 milioni) con un +20% dal 2020.
Nel Golfo delle petromonarchie il Bahrain ha un 87% di cittadini sui social, gli Emirati il 99%, l’Arabia saudita il 96%. Nell’Egitto di al-Sisi i numeri scendono: meno della metà dei 103 milioni di egiziani ha un account social e la rete raggiunge il 57% della popolazine. Nel resto del Nord Africa, si viaggi tra il 74,4% di utenti social marocchini al 69% di tunisini e al 56,5% di algerini.
Se comparati con i dati del 2014, si coglie il salto di Iraq ed Egitto (gli utenti social erano il 23% della popolazione), Tunisia (42%), Marocco (22%) e Algeria (18%). Ma si sono presto adattati anche i regimi, con il loro armamentario di leggi specifiche e controlli capillari.

I casi si sprecano. Per citare i più recenti: lo scorso 14 marzo Haneen Hossam e Mowada al-Adham, creatrici egiziane del gruppo The Agency sui social, sono state rinviate a giudizio per traffico di esseri umani e violazione dei valori della famiglia per la loro attività su TikTok; qualche giorno dopo, sempre in Egitto, la 27enne Sanaa Seif è stata condannata a un anno e mezzo per diffusione di notizie false tramite i social; il 17 marzo un giornalista turco del quotidiano Cumhuriyet, Enver Aysever, è stato arrestato e rischia un anno e mezzo di carcere per aver twittato nel 2020 un fumetto in cui un addetto alle pulizie disinfettava la mente di un imam.
All’aumento dell’uso della rete si è aggiunto l’incremento significativo della repressione.

Un fenomeno affatto nuovo, nuovi sono i mezzi della censura: l’Arabia saudita ha chiesto la pena di morte per Israa al-Ghomghan per aver filmato e pubblicato online proteste in piazza; gli Emirati arabi usano nuove tecnologie di sorveglianza di internet, tra cui il britannico Bae Systems; l’Egitto — che ha condannato al carcere cinque giovani egiziane famose su Tik-Tok e «ospita» in carcere bloger e attivisti — ha approvato la legge Anti-Cyber and Information Technologies Crimes che ha permesso di oscurare circa 500 siti di agenzie di informazioni indipendenti, giornali, blog.
il manifesto, 28/3/2021

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