I Centri di permanenza per il rimpatrio, sono un drammatico luogo sospeso, fuori da diritto. Non segue le regole di un carcere ma i migranti sono limitati nelle libertà personali. L’arbitrio domina indisturbato, gestito da compagnie private (spesso cooperative) ma anche da compagnie straniere, impegnate nella gestione di strutture simili in altri paesi d’Europa. Nei Cpr si muore senza capire mai fino in fondo perché, si sta male senza essere assistiti, si disribuiscono psocofarmaci come strumento di controllo, senza l’attenzione specifica per il migrante rinchiuso. Nei Cpr si muore, in alcuni si muore di più, come a Brindisi
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Abel Okubor, 37 anni, nigeriano trovato morto nel Cpr di Brindisi nella notte tra giovedì e venerdì scorso, era in procinto di essere assunto e di conseguenza avere tutti i documenti in regola. Il proprietario dell’azienda agricola in cui lavorava come bracciante aveva manifestato l’intenzione di metterlo in regola ma non ha fatto in tempo. L’autopsia sul corpo di Okubor sarà eseguita domani dal medico legale Domenico Urso. L’incarico dato dal pm di Brindisi Pierpaolo Montinaro punta a fare piena chiarezza su quanto è accaduto: a una prima ricognizione sembrerebbe essersi trattato di infarto fulminante, resta da capire se ci siano state cause scatenanti.[…]
Sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso del nigeriano, tuttavia si può affermare che nel Cpr pugliese, come negli altri, è complesso, quando non impossibile, essere visitati da un medico all’ingresso per l’idoneità. M., ad esempio, è arrivato con la pressione alta e problemi cardiovascolari certificati. Per 45 giorni non è stato visitato per accertare la sua condizione, “quindi – racconta ancora Capretti – non ha ricevuto le pillole per la pressione né abbiamo la certezza che gli siano state somministrate dopo la visita, sappiamo però che a lui, come a tutti, ogni giorno veniva fatto ingerire uno psicofarmaco in assenza di uno screening. Per quanto blando non si può sapere se fa reazione o allergia”.
“Tutti i Cpr sono buchi neri ma quello di Brindisi è gigante”, commentano dalla Rete No Cpr. Da anni la rete ha un centralino per ricevere chiamate d’aiuto dalle persone detenute nei centri. “Il nostro numero è noto, riceviamo chiamate anche dal Cpr albanese, ma in tutto questo tempo nessuno si è fatto vivo dal centro pugliese, temiamo sia impedito anche l’uso del telefono”, spiegano. “In questi anni – denunciano gli operatori – ci sono state 40 morti sospette nei Cpr, quattro nel solo centro di Brindisi, spesso archiviate come morti naturali ma cosa c’è di naturale nel morire durante una detenzione, senza cure?”.
Il caso di Okubor solleva ulteriori dubbi: “Perché una persona abituata a lavorare nei campi, con una corporatura solida e senza apparenti problemi pregressi è morta di colpo? Se aveva un qualche predisposizione doveva essere rilevata alla visita di idoneità”, denunciano dalla Rete No Cpr che un anno fa ha avviato con Asgi e Simm una campagna informativa diretta ai valutatori, cioè, “precari del pronto soccorso che vengono precettati per analizzare in fretta decine di persone ammanettate di cui non conoscono il background” con il rischio, per i sanitari, di essere denunciati e, per i migranti, di morire nelle mani dello Stato.
Luciana Cimino, il manifesto, 6 maggio 2025