Vita, vecchiaia e morte di una donna del popolo (L’orma, pp. 252, euro 21, traduzione di Annalisa Romani) del sociologo francese Didier Eribon ricostruisce l’itinerario esistenziale della madre dell’autore con lo stesso metodo dell’auto socioanalisi sperimentato con il precedente Ritorno a Reims (2009. E in edizione italiana, per Bompiani, nel 2017) che calava la storia personale di Eribon e della sua famiglia nel contesto delle dinamiche sociali e politiche del secondo Novecento in Francia tra lotte operaie, migrazioni, urbanizzazione, movimenti studenteschi ed emancipazione gay. In entrambi i libri, la vita vissuta si fa oggetto di un’indagine che porta a compimento quegli «elementi di autoanalisi» che Pierre Bourdieu aveva tratteggiato nel suo Questa non è un’autobiografia. La memoria incontra la critica sociale, la narrazione si intreccia all’analisi filosofica e il commento di passi letterari (da Annie Ernaux, Simone de Beauvoir, Albert Cohen, Bohumil Hrabal, Shichiro Fukazawa o J.M. Coetzee) dà l’avvio a riflessioni a cavallo tra denuncia politica e scrittura del sé. Eribon scrive del corpo della madre come «corpo di classe» a cui da giovane non sono state risparmiate le pene di una vita da donna delle pulizie, poi operaia e casalinga, e infine le vessazioni di un sistema sanitario inadeguato. Eribon ha spiegato che uno dei sentimenti da cui muove il suo libro è la gratitudine verso chi con fatica e sacrifici gli ha permesso di studiare e di diventare ciò che è.