Per ben 5.837 volte nel 2024 c’è stato un giudice di sorveglianza che ha affermato che un detenuto era costretto a vivere in condizioni disumane e degradanti. Per ben 5.837 volte la giustizia italiana ha riconosciuto l’illegalità del sistema penitenziario. Che costringe le persone a vivere sotto la soglia della decenza anche a causa di spazi insufficienti. È inutilmente vessatoria la modalità attraverso cui si esegue oggi la pena in Italia.
Dal 2022 i detenuti sono costretti a trascorrere la maggior parte del tempo recluso, anziché negli spazi comuni e in attività socialmente utili, in celle piccole, inadeguate, umide, talvolta inabitabili. Il modello penitenziario scelto è quello delle chiusure insensate, scoraggiando il mondo esterno dall’essere protagonista, in senso positivo, della pena. Così si assiste all’abbrutimento generalizzato.
Non è un caso che siamo di fronte a una crescita di tutti gli indicatori di malessere: autolesionismi, tentati suicidi, suicidi realizzati, aggressioni, violenze, proteste. Stanno male tutti, compresi gli operatori, sia nelle carceri per adulti che in quelle per minori.
Di fronte alle 5.837 condanne per trattamento disumano e degradante del 2024, la prima cosa da fare è cancellare quelle circolari che negli ultimi tre anni hanno prodotto l’acuirsi delle sofferenze e l’allontanamento dalla dimensione costituzionale della pena.
«Io ergastolano, ho trovato la mia libertà sul palco»: così Cosimo Rega, per decenni recluso nelle sezioni di alta sicurezza, raccontava nella sua autobiografia cosa avesse significato il teatro per lui. Insieme a Salvatore Striano fu il protagonista di Cesare deve morire, capolavoro dei fratelli Taviani, film che vinse l’Orso d’Oro a Berlino nel 2012. Oggi Cosimo non c’è più, mentre Salvatore Striano fortunatamente continua a fare brillantemente l’attore. Il film fu girato a Rebibbia quando il direttore di allora, Carmelo Cantone, accolse in carcere un uomo di teatro come Fabio Cavalli, che dirigeva la compagnia teatrale dell’alta sicurezza del carcere.
Da qualche giorno è operativa la circolare dell’amministrazione penitenziaria che sostanzialmente blocca tutte le attività culturali – teatro compreso – organizzate da realtà esterne nelle sezioni di alta sicurezza e le rende ben più complicate nelle sezioni di media sicurezza. Quelle storie straordinarie e riuscite di emancipazione sociale, culturale, ma anche professionale oggi non sarebbero più possibili. Se ai tempi di Cesare deve morire quella circolare fosse stata in vigore, avremmo avuto due criminali in più e due bravi attori in meno.
E allora il primo passo contro la disumanità del sistema deve consistere nel resistere alla sua progressiva decadenza, prodotta da chi nelle istituzioni ha una idea di pena pre-moderna al punto da ritenere legittimo punire fino a otto anni di carcere il detenuto che disobbedisce in forma nonviolenta agli ordini impartiti, come prevede il nuovo delitto di rivolta penitenziaria.
Se volessimo prendere effettivamente sul serio quelle 5.837 condanne dovremmo in sequenza: depenalizzare e decarcerizzare il più possibile, modernizzare e umanizzare la vita dentro a partire dalla possibilità di effettuare telefonate quotidiane con i propri cari e di vedere pienamente riconosciuto il diritto all’affettività; abolire l’isolamento disciplinare e quello diurno per gli ergastolani, affrontare con misure socio-sanitarie il disagio psichico, abbandonare le pratiche violente di contenzione fisica o chimica, liberare il sistema della giustizia minorile dagli eccessi repressivi degli ultimi tempi, riempire di vita le carceri oggi abbandonate nelle mani disperate di chi ci lavora (il manifesto, 30 ottobre 2025)
