In 95 anni di adunate alpine le cronache nazionali non avevano mai registrato un canto esplicitamente riconducibile al ventennio fascista intonato dalle penne nere. È successo invece che, nella notte di venerdì 9 maggio, uno sparuto gruppo è stato ripreso a cantare “faccetta nera”, la colonialista e fascistissima canzone del Ventennio mussoliniano, alla 96esima adunata nazionale in corso fino a oggi a Biella. In una città insignita nel 1980 della medaglia d’oro al valore militare per meriti durante la Resistenza dal presidente Sandro Pertini, la notizia ha fatto rapidamente il giro d’Italia.
Dallo scorso anno il capoluogo laniero piemontese ha un sindaco, Marzio Olivero, proveniente dal Movimento sociale italiano. Proprio nelle settimane scorse Olivero era stato protagonista di feroci polemiche in città per aver pronunciato un discorso “revisionista” durante le celebrazioni del 25 Aprile dichiarando che «è maturo il tempo di restituire il fascismo e l’antifascismo alla storia, recuperando quell’amor patrio che una contrapposizione ormai antistorica vorrebbe ancora impedire». Già in quell’occasione l’Anpi e i partiti di opposizione (Avs, M5s e Pd) avevano ricordato al sindaco (post) missino non solo che l’antifascismo è un valore della nostra Repubblica ma anche che i fascisti non sono affatto scomparsi.
Pochi giorni dopo, su proposta del comitato M come Matteotti e di 750 firme di cittadini, era stata discussa nell’aula consiliare di Palazzo Oropa una mozione che chiedeva la revoca della cittadinanza onoraria al «cavalier Benito Mussolini» e il conferimento della stessa a Giacomo Matteotti e Iside Viana, antifascista biellese morta nelle carceri fasciste nel 1931. La mozione, presentata dal Pd e appoggiata dal resto del centro sinistra, era stata bocciata dalla maggioranza: «È tempo di consegnare il passato alla storia». Ieri sera il sindaco, alla fine, ha commentato: «Prendo le distanze da chi ha cantato e strumentalizzato».
I cori di venerdì notte, evidentemente, hanno «rievocato la storia» forti delle discussioni di queste settimane e della fiamma tricolore che svetta sul balcone a pochi metri da dove è stato intonato il canto fascista. Un balcone da dove si affaccia la sede di FdI e l’ufficio del sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro che in gioventù organizzava convegni revisionisti sull’Olocausto, che bruciava libri di storia perché non ritenuti obbiettivi sulle foibe e che considerava Mussolini «uomo di pace». Al netto del passato del sottosegretario, c’è poi il suo presente: dagli spari di Capodanno alla «intima gioia» nel non lasciare respirare i detenuti, alle “spifferate” al suo coinquilino Giovanni Donzelli che gli sono costate una condanna in primo grado a un anno e 8 mesi. Una «fonte di ispirazione», quindi, per la decina di nostalgici che, in un’adunata che ha già coinvolto oltre 50 mila persone, ha cantato l’inno fascista vicino all’ufficio del sottosegretario.
Fratelli d’Italia, nonostante le sollecitazioni, non ha commentato l’accaduto mentre le opposizioni si sono scatenate parlando di «insulto alla memoria». In serata è giunta una nota dell’Associazione nazionale alpini: «In merito al video in cui echeggiano le note di “faccetta nera”, precisiamo che le note in questione provenivano da un altoparlante di un locale privato e non dall’impianto di servizio. L’Ana è una associazione di volontari apartitica per statuto e si dissocia da qualunque forma di propaganda politica. Stiamo celebrando la 96sima Adunata in una città medaglia d’oro della Resistenza. Episodi come questo, dunque, hanno nulla a che vedere con i valori delle penne nere associate all’Ana».
Erano all’adunata ieri Isabella Rauti, sottosegretaria alla Difesa, e Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia. Oggi è atteso il ministro alla Difesa, Guido Crosetto. In serata si è schierato Salvini: «Giù le mani dagli Alpini che sono gloria, storia e patrimonio dell’Italia». La segretaria Pd Elly Schlein: «Mi chiedo quanto dovremo aspettare per avere parole di condanna forti e nette da parte di tutte le forze politiche, tutte le istituzioni e di chi governa».
Roberto Pietrobon, il manifesto, 11 maggio 2025