Quarto bacino idrico per grandezza nel continente africano, il lago Ciad si trova al confine fra Niger, Ciad (due paesi L20), Camerun e Nigeria. Ci spiega il missionario comboniano Filippo Ivardi Ganapini, che in quell’area ha vissuto e lavorato: «Il lago è ancora oggi fondamentale per la sopravvivenza di oltre 30 milioni di persone, le cui attività tuttavia sono minacciate da desertificazione, riduzione drastica del bacino e conseguenti migrazioni climatiche, insurrezioni armate e crisi umanitarie. Si alternano lunghe siccità e improvvise inondazioni, come quella dello scorso settembre che ha colpito quasi due milioni di ciadiani, con oltre 600 vittime».
Il lago Ciad ha perso il 90% del suo volume, dai 25.000 chilometri quadrati degli anni 1960 ai meno di 1.500 di oggi, prosegue il missionario: «Una perdita che significa distruzione dell’economia agro-pastorale, con conseguente escalation del malcontento sociale. Una miscela perfetta per alimentare gruppi armati e terroristi, fra i quali Boko Haram e Iswap (affiliato allo Stato islamico) che attraversano confini porosi per contendersi le ricchezze a suon di droni e armi sempre più tecnologiche, saccheggiando case e bestiame e creando l’instabilità necessaria a coprire il traffico di droga, di armi e di rapimenti, benzina per la loro espansione territoriale ed economica.
La Multi Nazionali Joint Task Force (Mnjtf), la coalizione militare regionale nata per contrastare la minaccia terroristica, fatica a coordinare le proprie operazioni, aggravata dalle tensioni politiche tra gli Stati membri. E rimane una chimera l’antico progetto Transacqua 2, che prevede la costruzione di un canale di 2.400 Km per convogliare direttamente le acque dal fiume Congo al bacino idrico del lago».
Nella regione del Kivu, Repubblica democratica del Congo (un altro paese L20), il trentennale conflitto conosce una nuova escalation che minaccia anche il Parco nazionale Virunga, la più antica area protetta del continente africano, attiva dal 1925 e patrimonio Unesco. Il territorio è segnato da decenni di instabilità politica, attività minerarie clandestine, milizie armate. Foreste, fauna selvatica (come gli iconici gorilla di montagna), aree protette sono vittime silenziose di un conflitto che non dà segni di una fine imminente.
Le province del kivu, dove si concentrano i combattimenti, fanno parte di uno degli hotspots di biodiversità più importanti al mondo. Ma le aree protette sono storicamente servite come basi operative di retrovia ideali per i gruppi armati non statali.
Il Virunga, dopo alcuni anni di relativa requie, si trova dal 2021 all’interno della zona operativa della milizia armata antigovernativa M23 – foraggiata dal Ruanda. I recenti combattimenti hanno aumentato drasticamente la pressione sulle sue foreste secolari. Il conflitto ha fatto aumentare la domanda di carbone di legna (makala in swahili) a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu. Oltre ai suoi 1,9 milioni di abitanti, la città ha assorbito almeno 800.000 sfollati. Ormai, il vulcano del Monte Nyiragongo, una caratteristica iconica del Virunga, è stato quasi spogliato degli alberi. Anche il parco Kahuzi-Biega, situato sul lato opposto del lago Kivu, secondo Global Forest Watch registra aumento significativo del disboscamento. I gruppi armati lucrano sul commercio imponendo tasse.
La foresta pluviale del bacino del fiume Congo (i paesi L20 interessati sono Congo Rdc, Burundi, Repubblica centrafricana), vitale per il clima del pianeta e ricchissima di biodiversità, è minacciata dalla produzione di carbone, il combustibile usato dal 90% della popolazione del paese per mancanza di fonti energetiche pulite; un’attività che si aggiunge comunque all’estrattivismo minerario e a vari interessi locali e internazionali, capaci di ostacolare lo sviluppo dell’energia sostenibile e di strategie di conservazione.
Nel 2025, il governo della Repubblica Democratica del Congo ha annunciato la creazione di una delle più grandi aree protette di foresta tropicale al mondo. Il Couloir Vert (Corridoio verde) lungo 2.400 chilometri unirà il Virunga, le vaste foreste dell’Ituri e il corso del fiume Congo. Il progetto per ora è poco chiaro. L’estrattivismo rimarrà davvero fuori?
Marinella Correggia, il manifesto, l’ExtraTerrestre, 17 aprile 2025