La scuola dei conservatori: identità, individualismo, cultura d’impresa e precariato

Prende sempre più forma l’idea di istruzione dei conservatori italiani.
Dopo l’uscita delle Linee guida relative alle 33 ore annuali di Educazione civica si fa più chiaro il disegno ideologico del processo di restaurazione iniziato molti anni fa e mai interrotto.
La scuola dell’autonomia, la scuola-impresa, gli Istituti comprensivi, il moltiplicarsi degli indirizzi scolastici e universitari, l’estensione del numero chiuso nelle Università, i crediti scolastici, l’alternanza scuola-lavoro, l’aumento spropositato delle tasse scolastiche e universitarie, ecc.
Tappe diverse di una visione liberista della scuola, assoggettata alla produttivistica “cultura d’impresa”: sempre meno luoghi della formazione culturale, sempre più spazi per l’addestramento professionale.

Nonostante questa sudditanza al mercato del lavoro l’occupazione giovanile non è migliorata e le imprese fanno continue richieste insoddisfatte.
Non si vuole capire che le specificità delle esigenze delle imprese non possono essere soddisfatte dalla scuola o dall’università. Solo la formazione sul luogo di lavoro può soddisfare la domanda di professionalità specifiche e questo riguarda le imprese.

Alla scuola e all’università deve essere affidato il compito di preparare alla conoscenza e comprensione del mondo e della sua complessità materiale e culturale: corpi, storia, linguaggi, spazi, scienze, tecnologie per la formazione di un pensiero critico capace di dare oggi autonomia alle persone, domani ai cittadini.
Ma aiutare ad imparare a pensare è pericoloso e difficile per una politica che ha fatto della “governabilità”, e del bisogno di essere rieletti, l’unico suo scopo.

Ma ora il disegno conservatore si fa reazionario, si infarcisce di ideologia per supplire alla povertà culturale e progettuale. E’ un progetto rivolto al futuro, un futuro incerto, senza dare sostanza al presente di milioni di giovani a cui si fanno mancare gli strumenti per conoscere e interpretare il mondo che stanno attraversando oggi.
Si passa dalla formazione all’addestramento, dalla responsabilità sociale a quella individuale, il rispetto della persona è sostituito dal rispetto delle regole, la storia si fa identitaria e patriottica, la geografia del mondo è camuffata da quella locale, lo studio delle scienze lascia il posto allo studio delle tecnologie, nelle scuole entrano le Forze armate e le imprese diventano agenti formativi.

Nulla di strano, lo sappiamo! Questo è uno specchio della società che si è andata formando a cavallo dei due millenni: individualista, dipendente (dalle tecnologie, dalle droghe, dal gioco), ansiosa, aggressiva, narcisista e disperata, cioè senza speranze per il futuro, perché invece di desiderare consuma, consuma tutto all’istante.

Difficile è opporsi alle ideologie identitarie, all’idea di patria, al brutto inno di Mameli, al Made in Italy, alla festa patronale, alle “radici” locali, …difficile perché crediamo, illusoriamente, che ci rappresentino che ci si possa rispecchiare in esse.
Non si deve fare, a scuola non serve opporsi a tutto questo. Lì serve fornire strumenti di interpretazione, capacità critica di discernimento, lì serve insegnare a guardare altrove, oltre ciò che si incontra e si vede tutti i giorni. Stimolare il desiderio intellettuale, il bisogno di conoscere.

Questo progetto reazionario ha ancora un’altra stretta continuità con il passato. Alla riapertura di settembre, tra docenti e personale amministrativo (Ata) ci saranno 250.000 supplenze. Assunzioni stagionali e precarie rischiano di mandare in tilt le segreterie. Mentre 30.000 docenti abilitati dal concorso 2020 potrebbero non trovare la cattedra vacante perché l’incompetente ministro Valditara ha riservato una parte di quelle cattedre ai futuri vincitori del concorso del piano Pnrr, ancora in corso, come richiesto dall’Europa.
150.000 precari si giocano il posto di lavoro, una lotta tra poveri che non riesce a diventare lotta comune contro lo Stato, che da decenni nella scuola ha “istituzionalizzato” il lavoro precario!
L’inserimento di persone svantaggiate nella scuola con l’utilizzo degli Insegnanti di sostegno è un punto di vista utile per capire il degrado della qualità del servizio: insegnanti precari, assenza di continuità didattica, formazione discontinua o assente degli insegnanti, lunghe attese per coprire il fabbisogno con le supplenze.
La moderazione e la dimenticata funzione conflittuale dei sindacati sono una pesante ipoteca per la soluzione di problemi che affliggono la scuola da molti decenni.
Così la qualità della formazione scolastica peggiora grazie al consolidato sistema della precarietà!

Nella scuola, ancor più nelle università, si può impedire che si realizzi ciò che le istituzioni vorrebbero. Boicottare è possibile, c’è la libertà di insegnamento, usiamola!
Comunque non saranno gli insegnanti o il personale scolastico o il sindacato a fermare o invertire il processo reazionario di trasformazione della scuola.
Potranno farlo solo gli studenti, quando sentiranno il bisogno, quando non sopporteranno più il clima di restaurazione che si sta diffondendo, quando autoritarismo, rigidità e vaghezza culturali saranno insopportabili. L’hanno già fatto, potranno rifarlo!
Potranno trovare aiuto dalle famiglie, quando i costi saranno troppo alti, quando la qualità della formazione sarà troppo bassa e i disagi dei figli troppo evidenti… Allora ci sarà la rivolta, non ora ma ci sarà. Lavoriamo per questo.

Marco Sansoè
Laboratorio sociale “la Città di sotto”

2 commenti

  1. Ciao Marco,
    ho letto con molto interesse la tua nota. Purtroppo, siamo ancora ben lontani dalla rivolta studentesca da te auspicata. A mio avviso, per il momento, il sistema vigente può contare sul collaborazionismo attivo di quasi tutti i dirigenti e di quello passivo di moltissimi docenti, sul torpore intellettivo di molti studenti e sullo smarrimento culturale dei loro genitori. Secondo me, inoltre, si profilano due paradossali criticità. La prima: l’eliminazione del precariato potrebbe rafforzare lo status quo perché i nuovi docenti vengono formati intellettualmente per questa nuova visione della scuola. Quindi, la coscienza critica dei nuovi insegnanti, nella stragrande maggioranza dei casi, viene disinnescata prima da lunghi anni di insicurezza e poi da un’insinuante formazione di carattere globalista in cui anche le importanti battaglie per l’ambiente, per la pace, per la parità dei diritti, per la lotta al razzismo e alle discriminazioni vengono declinate secondo la logica consumistica dell’agonizzante sistema capitalistico. La seconda: alcuni rigurtiti provengono prima dalle piccole imprese piuttosto piuttosto che dagli studenti. La cultura d’impresa delle scuola e l’esigenza di governabilità delle masse espressa dalla politica, puntano verso modelli produttivi e sociali che richiedono l’addestramento di “automi di carne” spesso non adatti alla formazione e alla specializzazione richiesta dalle piccole aziende che ancora costituiscono il tessuto industriale italiano. L’ovattamento culturale prodotto dalla scuola spesso non trova riscontro nelle piccole aziende del territorio.
    Queste sono solo alcune riflessioni a caldo suscitate dalla lettura della tua analisi critica e polemica. Per quanto mi riguarda, nessuna invadenza e spero altrettanto per te in merito alla mia risposta.
    Buon proseguimento.

  2. Caro Marco, esiste una via di mezzo tra autoritarismo e permissivismo? A mio avviso sì: è l’autorevolezza. Proprio quella che manca in una società dove la superficialità e il pressapochismo forniscono nutrimento al qualunquismo di una destra che passo dopo passo prosegue nel suo cammino, anzi la sua marcia, verso un autoritarismo di vecchia memoria.Bisogno di tenere insieme, illusoriamente, i pezzi di una società sempre più liquida. Nella scuola si manifesta in modo ancor più palese il circolo vizioso della società dell’incertezza che produce precarietà e dove la precarietà produce e accentua un’incertezza che travalica il sistema scolastico. Le destre, tutte le destre, che stanno alzando il tiro in tutto il mondo civile sembrano il sintomo di un lento declino o l’inarrestabile corsa verso la catastrofe finale. Se li lasciamo fare. Bruno

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *