Certi che quello messo in gioco fosse l’ennesima trappola nazionalista e neocoloniale, ora ne abbiamo la conferma. Il Piano Matteo per l’Africa è un comitato d’affari a vantaggio nostro, contro i migranti, contro la democrazia dei paesi contranti a tutto vantaggio dei poteri forti locali e internazionali. Ce lo conferma Tonino Perno in un articolo apparso su il manifesto.
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Finalmente il fantasmagorico piano Mattei ha preso forma, con dati economici, obiettivi e finalità. Sul piano strettamente economico questo grandioso piano a favore del popolo africano preleva 4,2 miliardi in quattro anni dal Fondo per il Clima e 2,5 miliardi in quattro anni dal Dpt. Cooperazione allo Sviluppo. Si tratta di una media di 1,7 miliardi l’anno che rappresentano meno del 3% di quello che gli immigrati africani nei paesi occidentali mandano alle loro famiglie. Solo dall’Italia le rimesse dei migranti africani si stimano in cinque miliardi l’anno. Secondo l’ultimo rapporto Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) dal 2001 a oggi le rimesse internazionali dei migranti sono passate da 128 a 831 miliardi (sic!), cifra impressionante, ignorata da questo cosiddetto piano per l’Africa che punta tutto sugli investimenti pubblici e privati dell’Italia che dovrebbero rivoluzionare il modo di intendere la cooperazione con il Continente africano.
E veniamo alla filosofia di questo piano. Due sono gli obiettivi che hanno determinato le scelte dei paesi prioritari: Egitto, Tunisia, Etiopia, Kenya, Mozambico, Costa d’Avorio, Algeria, Marocco, Repubblica del Congo. Primo obiettivo: petrolio e gas per renderci indipendenti dalla Russia. Sono particolarmente interessati a questa operazione di estrazione delle risorse petrolifere l’Egitto, l’Algeria, il Mozambico, la Repubblica del Congo, e in misura minore la Tunisia. Secondo obiettivo esplicitato chiaramente: valorizzare la filiera del Sistema Italia, a partire dai paesi produttori di caffè: Etiopia, Costa d’Avorio, Kenya. Vengono scelti come partner (ma c’è stato un bando pubblico?) le seguenti imprese: Illy, Lavazza e Borbone. Si tratta, in sostanza, di dare una mano pubblica di sostegno a queste imprese che oggi risentono delle difficoltà di approvvigionamento, a causa del mutamento climatico che ha colpito alcuni importanti paesi produttori dell’America Latina, e di una continua e forte oscillazione dei prezzi. Se l’accordo con questi paesi africani esportatori di chicchi di caffè assumesse il metodo del fair trade internazionale, che stabilisce con i produttori di caffè contratti di medio periodo a prezzi nettamente superiori a quelli che le quotazioni di Borsa danno, allora sarebbe corretto inserire questa attività in un piano Mattei, dal nome del partigiano, grande manager pubblico e protagonista di una lotta alle multinazionali del petrolio che gli è costata la vita. Per Enrico Mattei bisognava rompere questo monopolio e trovare un accordo con i paesi africani produttori con vantaggi reciproci.
Niente di tutto questo, del metodo con cui Mattei voleva creare nuovi rapporti di scambio con i paesi africani, emerge da questo piano Meloni, al di là degli slogan «vogliamo negoziare alla pari», «non vogliamo rapinare le risorse dell’Africa come si è fatto finora».
C’è ancora una nota particolarmente interessante in questo piano: la riduzione della frammentazione delle risorse finanziarie. Ovvero, saranno presi in considerazione solo progetti da 200-300 milioni di euro come minimo. Quindi, nessuna possibilità di partecipare per le Ong di cooperazione internazionale, né per i Comuni che in questi anni, anche facendo salti mortali su bilanci risicati, hanno portato avanti progetti dal basso che vanno incontro alle esigenze delle popolazioni locali. D’altra parte, sono completamente ignorati i paesi della fascia del Sahel, quelli che soffrono di più la fame, la sete e l’emigrazione, ma non sono interessanti per il business e quindi usciranno fuori dai programmi governativi di cooperazione.
E sappiamo bene quali benefici comporta l’estrazione del petrolio in questi paesi. Basta chiederlo ai rappresentanti della diaspora africana in Italia: le royalties del petrolio/gas finiscono nelle mani di funzionari e governanti corrotti mentre la popolazione locale si prende l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei terreni.
Alla fine andando alla Fiera di Roma in questi giorni si poteva visitare il Codeway-Business for Cooperation, la Fiera dedicata al settore privato nel mondo della cooperazione internazionale. Basta – scrivono gli organizzatori – con una narrazione pauperistica e rassegnata, l’Africa è oggi la terra per eccellenza delle opportunità di business, come sostiene la presidente del Consiglio. Non c’è altro da aggiungere: la regina è nuda.
il manifesto, 22 maggio 2024