Il pentimento di “Sandokan” e la tortura di Stato

Dopo 26 anni di carcere duro, qualcuno lo chiama 41bis, Francesco Schiavone detto Sandokan, prostrato e malato, si pente e collabora.
Lo Stato ha vinto. La tortura paga, le condizioni disumane del 41bis portano il risultato sperato.
Il detenuto cede, si arrende. Dopo aver commesso reati gravissimi ed essere stato condannato ad alcuni ergastoli, sfinito, distrutto nel corpo, e forse, nello spirito, cede e collabora.

Il 41bis è una condizione di detenzione istituita per evitare che il detenuto, appartenente ad associazioni malavitose o terroristiche, avesse contatti con l’esterno, non inquinasse le prove durante i processi e non potesse continuare a svolgere le attività per le quali era stato condannato.
Una condizione carceraria provvisoria che doveva avere una durata breve e funzionale agli obbiettivi perseguiti dalla magistratura. Ma è diventato una condizione che ha assunto lo scopo di torturare il detenuto per piegarne la volontà e garantirne il pentimento e l’eventuale collaborazione. Una vendetta dello Stato

I media si rallegrano e immaginano le straordinarie informazioni che Francesco Schiavone potrà rivelare sulla Camorra e nessuno sembra accorgersi che a vincere è la tortura di Stato.

Così si sconfiggerà la Camorra in Campania? Noi crediamo di no.
Così si rivela solo la natura dello Stato nella sua interezza: da una parte l’incapacità di governare una società che dalla povertà, dalla disoccupazione, dal degrado abitativo crea manodopera per la Camorra, dall’altra la natura vendicativa e giustizialista di una istituzione che usa la tortura con la disinvoltura di una democrazia autoritaria.
Le due facce dello Stato: responsabile delle ingiustizie e delle diseguaglianze che riscrive le regole calpestando i diritti umani.

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