CPR. La “reclusione amministrativa” è un nuovo affare per i privati. …di Oiza Q. Obasuyi

Di seguito un intervento di Oiza Q. Abasuyi, “contributor” di Cild (Coalizione Italiana Libertà e Diritti), coautrice del “Affare Cps”, apparso su diversi siti e sulle pagine de il manifesto. Il suicidio di Ousmane Sylla è l’epilogo tragico di un percorso simile a molti, molti altri.
Ha molte concause e qualche responsabile: le Istituzioni nazionali quali il Ministero degli Interni; le Istituzioni locali quali Prefetture e Questure, e le ditte appaltatrici (multinazionali della detenzione!) che gestiscono, dopo gare d’appalto (vinte chissà come?), al risparmio i
Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio), i Cas (Centri di accoglienza e servizi) e le diverse strutture che accolgono e/o segregano gli immigrati.
Servizi insufficienti, gestione carente, inadempienze si sommano ai mancati controlli delle Istituzioni nazionali e locali. Sono tutti responsabili e devono essere denunciati, processati e sanciti.
Vigilare, segnalare e denunciare, attraverso azioni intorno ai
Cpr e ai Cas e ricorsi alla Magistratura. Non possono prendere forma, nuovamente, i “campi di concentramento

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Il suicidio di Ousmane Sylla nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, a Roma, è solo l’ultimo di una serie di episodi violenti che avvengono all’interno dei Cpr italiani, dove le persone migranti vengono detenute poiché prive di un permesso di soggiorno. Nonostante le condizioni inumane e degradanti all’interno dei Centri siano ormai note, ciò che è meno noto è il funzionamento dell’apparato gestionale. Parlarne è fondamentale per avere un quadro chiaro della spirale di violenza a cui sono sottoposte le persone migranti.

I Cpr sono gestiti da società private, come spiegato nel rapporto l’Affare Cpr, vincendo gare d’appalto. Così facendo, lo Stato – che inizialmente, tramite la Croce Rossa Italiana, gestiva le strutture di cui già venivano denunciate le condizioni insostenibili – oltre a deresponsabilizzarsi, minimizza i costi seguendo la regola dell’offerta economicamente più vantaggiosa, affidandola all’azienda che offre servizi a basso costo. La svolta avviene durante il governo Berlusconi IV con il «pacchetto Sicurezza» in cui, già allora, non solo si prevedeva di detenere le persone migranti fino a 18 mesi, ma anche e soprattutto di minimizzare i costi dello Stato.

Dal 2014 in poi, le multinazionali che operano in vari paesi dell’Ue hanno iniziato a presentarsi alle gare. La detenzione amministrativa delle persone migranti si è rivelata un «fiorente business»: in Italia, nel periodo 2021-2023, le prefetture hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni finalizzate alla gestione da parte dei privati dei Cpr, cui vanno sommati i costi del personale di polizia e quelli relativi alla manutenzione delle strutture.
Il fine di queste multinazionali è la massimizzazione del profitto a discapito dei diritti delle persone migranti detenute: tra le maggiori multinazionali del settore (oltre a Engel e Gepsa) vale la pena soffermarsi su Ors che gestisce il Cpr di Roma Ponte Galeria. Ors (Organisation for Refugees Services) è una multinazionale svizzera che gestisce centri di «accoglienza» e di detenzione in tutta Europa (in particolare 100 strutture in Svizzera, Austria, Germania e Italia, impiegando più di 1.400 persone).

Il ramo italiano inizia a espandersi nel 2018. Tuttavia, Ors inizierà la sua attività solo nel 2020 riuscendo però già nel 2019 ad aggiudicarsi l’appalto per la gestione del Cpr di Macomer (in Sardegna) per poi vincere ulteriori appalti tra il 2020 e il 2022 (tra gli altri, il Cas di Monastir, il Cpr di Roma e quello di Torino).
Salta all’occhio la velocità di espansione tanto che, in un’interrogazione parlamentare, il deputato Erasmo Palazzotto nel 2020 ha chiesto come fosse possibile per una società con «responsabilità limitata sostanzialmente inattiva, superare i requisiti di concreta esperienza ed essere ritenuta idonea alla gestione di grandi centri di accoglienza».
Non a caso, iniziano i primi casi di cattiva gestione dei centri a partire, ad esempio, dal centro di accoglienza Casa Malala (in Friuli Venezia Giulia) per cui il Tar locale, nell’ottobre 2020, ha annullato l’aggiudicazione ottenuta da Ors – grazie al ricorso effettuato da Ics (Consorzio italiano di Solidarietà) – per la sua inattività al momento della partecipazione al bando (nel 2019). In quell’occasione, Ics ha denunciato l’offerta oltremodo bassa sui costi alimentari (che ammontavano a 4,88 euro pro die pro capite, comprendendo colazione, pranzo, cena e costi del personale).
Seguono altri casi di cattiva gestione come il Cpr di Macomer (2020-2022) e di Torino (2022-2023, ora inattivo per le proteste) dove sono stati denunciati la scarsa assistenza sanitaria; l’assenza di visite mediche effettuate dall’Asl; la somministrazione di cibo avariato e di psicofarmaci, senza alcun controllo medico. Il Cpr di Ponte Galeria non è da meno.

L’ex Garante locale, Stramaccioni, nell’ottobre 2022 ha denunciato locali fatiscenti, cibo immangiabile, episodi di autolesionismo. Nel marzo 2023, i deputati Ilaria Cucchi e Aboubakar Soumahoro, entrando nella struttura, hanno confermato lo stato di fatiscenza e insostenibilità di un luogo in cui le persone con tossicodipendenza e malattie mentali non vengono curate. Il caso di Ousmane Sylla non è un effetto collaterale, ma parte integrante di un sistema repressivo e strutturalmente razzista.


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