Guido Sassi in un articolo apparso su l’ExtraTerrestre de il manifesto, di dice che “La diminuzione delle precipitazioni nevose negli ultimi anni ha colpito l’Italia più di molti altri Stati europei, con la conseguente crisi del turismo invernale nei comprensori sciistici. […]
Lo sci alpino copre ancora il 60% delle attività sportivo/ricreative invernali sulla neve. In Italia sono presenti oltre 5 mila chilometri di piste sulle Alpi, più altri 700 km in Appennino, ma il declino appare inarrestabile e l’industria agonizzante. L’aumento delle temperature d’altronde ha registrato un aumento di 2/2,4 gradi dagli anni ’60 a oggi in 75 località sciistiche su 225, e per altre 66 l’aumento è persino superiore.
Nel 2023 legambiente ha censito 249 impianti dismessi definitivamente, 15 in più rispetto all’anno precedente, 138 chiusi temporaneamente (+3), 181 tenuti aperti solo grazie all’innevamento artificiale (33 in più rispetto al 2022). […]
L’Italia è la nazione europea più dipendente dall’innevamento artificiale: il 90% della neve viene prodotta con i cannoni, contro il 70% dell’Austria, il 50% della Svizzera, il 39% della Francia e il 25% della Germania. La neve artificiale costa sempre di più per l’aumento del prezzo dell’energia e anche la richiesta di risorse idriche è sempre più esosa: secondo una ricerca di Steiger la domanda di acqua nei prossimi anni crescerà tra il 50% e il 110%.
Secondo una stima del Wwf, ogni anno sulle piste italiane vengono impiegati per l’innevamento artificiale circa 96 milioni di metri cubi d’acqua e 600 gigawattora di energia, pari al fabbisogno di una città di circa 1 milione e mezzo di abitanti. La spesa? Variabile tra i 242 e i 546 milioni di euro. Passando alla dimensione europea, l’intero arco alpino consuma 2100 gigawattora di energia l’anno, per produrre e mantenere un fondo battuto di circa 30 centimetri sulle piste.” Il costo della neve artificiale è passato da 2 euro a 3,6 euro al metro cubo.”…
Tenere attivo il settore diventa sempre più costoso.
Non è accettabile spostare sempre più in alto gli impianti perché questo significherebbe mettere a rischio interi ecosistemi, fragili e già messi a dura prova dallo scioglimento dei ghiacciai.
Deve essere fermata la tendenza di attivare bacini di raccolta sui monti, in Italia sono già 137. Sono risorse idriche sottratte ai corsi d’acqua naturali con conseguente perdita di biodiversità e l’introduzione di instabilità (l’evaporazione e il riempimento continui) che mina il ciclo vitale di flora e fauna. Inoltre l’effettivo rendimento, a causa dell’evaporazione, pare essere inferiore al 50%, cioè solo la metà dell’acqua raccolta si trasforma in neve.
Difronte ai mutamenti climatici è necessaria una capacità di adattamento dei comportamenti umani. Occorre cambiare l’uso della montagna, nel tempo, nelle pratiche, nelle attività, negli sports. Non contrastare il cambiamento climatico ma adattarci ad esso!