L’orizzonte del nostro avvenire nel secolo scorso è stato l’emancipazione lavorativa, culturale, politica e soprattutto erotica delle donne: la speranza più significativa di superamento, almeno parziale, del grave disagio nella nostra civiltà. La riappropriazione del loro corpo sessuale e della libertà di disporre in modo personale e intimo della loro profondità di coinvolgimento erotico, è stato l’obiettivo delle donne, la spinta discontinua ma persistente del movimento femminile, per l’intero ventesimo secolo. Sono bastati due decenni del deludente inizio del secolo nuovo, perché questo grande movimento – potenzialmente la più grande rivoluzione di sempre – si arenasse, sotto la pressione di un’imponente controriforma del nostro modo di essere.
La controriforma ha come suoi pilastri il neoliberismo (l’egoismo illimitato del singolo come fondamento dell’interesse collettivo), l’isolamento sociale (aumentato in modo esponenziale dalla digitalizzazione dell’esperienza) e la distruzione dei posti di lavoro e insieme del tempo libero (che o sparisce sotto l’effetto del lavoro permanente, performante o diventa tempo morto).
Il corpo femminile e la sua libertà erotica, che si dispiega in un incontro pieno, intenso con l’altro senza calcoli e dispositivi di potere e di controllo, è il principale antagonista dell’autoreferenzialità liberista, della distruzione dei legami lavorativi, solidali e conviviali e dell’evaporazione del tempo che dovremmo riservare ai nostri affetti, alla cultura, alle nostre relazioni erotiche.
Il corpo erotico della donna, molto più del corpo erotico dell’uomo, è irriducibile alle dinamiche di potere e di sopraffazione dell’altro. Perciò è sotto attacco tanto esplicito quanto invisibile agli occhi che guardano altrove.
Il motivo principale della distrazione è l’ideologia “progressista” dei nostri giorni che, avendo smarrito il contatto con la realtà, guarda indietro e non avanti: essa è il “nuovo” che indietreggia.
Negli Stati Uniti la confusione nel campo della cultura democratica nei riguardi della sessualità femminile supera ampiamente i confini nazionali e contamina, agendo da “avanguardia”, “paradigma”, le forze democratiche di tutto il mondo. La copre l’ideologia della destra illiberale sempre più apertamente reazionaria e folle.
La parità delle donne e degli uomini nel campo del desiderio (la forza che muove la civiltà e il mondo), dalla quale emana la possibilità di una società fondata sulla giustizia e su scambi culturali, economici e politici liberi dal potere del più forte, è diventata parità di “genere” (categoria astratta, identità scarnificata dell’essere umano).
La rivendicazione da parte delle donne della loro presenza attiva, costitutiva nel governo della Polis, decisiva perché governare sia prendere cura e non asservire, è stata silenziata con la concessione del diritto di essere come gli uomini, di ottenere i loro privilegi sociali a condizione di rinunciare alla loro femminilità e sessualità e di identificarsi con la mente e il corpo maschile.
I “diritti” sono diventati “privilegi”. Dissociati dal senso di responsabilità che ci impegna nei confronti degli altri (per cui non esiste diritto vero senza che esso non sia, al tempo stesso, un dovere nei confronti di sé e degli altri), sono remunerazioni di potere che per alcuni sono un fatto concreto e per altri concessioni formali di principio, in attesa di un futuro remoto. La parità di genere, nel suo sviluppo attuale, tende verso una società di corpi desessuati e indifferenziati. Il genere “donna” potrebbe affermarsi non meno del genere “uomo” in questa società fondata su un corpo maschile neutro sul piano della sessualità (il nucleo fallico oscuro del patriarcato) e “idraulico” nel suo funzionamento.
La donna radicata nella sua corporeità e nella sua sessualità avrà un destino di emarginazione che ci sarà fatale.
il manifesto, 8/7/2023