Quella che segue è la traduzione di una lettera, arrivata il 6 settembre 2022, a cura di “Survival”, la Ong che si occupa dei popoli indigeni perseguitati e oggetto di genocidio nel mondo. Il titolo è del blog di “Sviluppo felice“. Ciò che colpisce di più in questa crudelissima storia è che spesso i genocidi riescono a cancellare non solo le vite ma anche il nome del popolo distrutto.
Quando, la settimana scorsa, ho sentito la notizia che l’indigeno noto come “l’uomo più solo al mondo” era morto, ho sentito una profonda tristezza. Era vissuto assolutamente solo per 26 anni, nel profondo dell’Amazzonia brasiliana, rifiutando tutti i tentativi delle squadre governative di prendere contatto con lui.
Quando si conosce la sua storia, ciò diventa del tutto comprensibile, giacché tutte le persone a lui vicine – famiglia, amici, tutti i membri della sua tribù – erano rimasti uccisi in una serie di attacchi. Quest attacchi sarebbero rimasti ignorati dal resto del mondo se lui non fosse riuscito a sopravvivere in qualche modo.
Con gli anni, poche persone attente, in Brasile, son riuscite a mettere insieme i frammenti di quanto era accaduto. Sentirono voci di uomini armati, al servizio degli allevatori di bovini, che si vantavano in un bar per l’eccidio di un gruppo di indigeni. Dopo alcuni mesi trovarono la scena del crimine – le capanne nel profondo della foresta erano state schiacciate col bulldozer per nascondere l’eccidio. Gli assassini pensavano di aver ucciso tutti ma un uomo era riuscito a sopravvivere.
Non sapremo mai come avesse fatto a salvarsi, e nemmeno come si chiamasse. Nel 2005 accompagnai una squadra governativa che controllava quel territorio, e non dimenticherò mai il senso della sua presenza che permeava la foresta. In una delle sua capanne abbandonate vedemmo la fossa che aveva scavato per nascondersi. Era certamente una prova del grave trauma che aveva sofferto.
Fu un’esperienza opprimente, ma pensai che era importante conservare la testimonianza del coraggio di quell’uomo. Alla notizia della sua scomparsa i media mondiali sono apparsi con titoli in grande evidenza, e sono contenta che almeno dopo morto la sua storia non è stata dimenticata.
La sua esperienza, per quanto straordinariamente tragica, non è affatto unica. Ci sono più di cento tribù non contattate solo in Brasile, e molte altre nel mondo. Le loro terre e le loro vite sono continuamente minacciate.
Proprio la settimana scorsa si è saputo che una compagnia brasiliana sta cercando di estrarre oro nel territorio dei Piripkura, una delle tribù non contattate più vulnerabili del mondo, che ha subito una serie di aggressioni con intenzioni di genocidio.
I Piripkura non hanno diritto ad esistere, esattamente come lo abbiamo noi? Non vogliamo proprio far niente mentre questa gente viene fatta sparire nel nome del “progresso” e del guadagno economico? Ci limiteremo a star qui a guardare?
Survival si impegna per un mondo migliore, più tollerante, che dia valore alla diversità, invece di cercare di sradicarla. Sappiamo che le nostre campagne – le vostre campagne – hanno già aiutato molte di queste tribù a sopravvivere, ma c’è ancora molto, molto altro da fare.
… So che questi tempi sono molto duri per molti di noi, ma so anche che c’è tantissima gente nel mondo che crede, come noi, che questi abusi non debbano esserci nel mondo moderno e che noi dovremmo fare di tutto per fermarli.
Fiona Watson
Survival Research and Advocacy Director