Giansandro Merli in un articolo apparso su il manifesto ci aiuta a capire cosa è accaduto nel Mediterraneo ai migranti dal 2018 ad oggi. Lo fa partendo dai dati elaborati da Matteo Villa per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).
Di questa analisi ci interessano le conclusioni che forniscono gli strumenti per capire le responsabilità, come e dove si dovrebbe agire, le riportiamo qui di seguito.
Dal 2018 la scena del Mediterraneo centrale cambia anche dal punto di vista dell’intervento istituzionale. Nel libro Respinti, (altreconomia), Duccio Facchini e Luca Rondi ricostruiscono lo «smantellamento» del sistema di soccorso attraverso numeri e atti ufficiali. Le missioni navali europee spostano il loro baricentro sempre più a nord, fino all’attuale Irini-Eunavfor Med che si vanta di non aver fatto nessun soccorso in 30 mesi di attività. A giugno 2018, anche grazie a due anni di lavori preparatori della guardia costiera italiana su mandato della Commissione Ue e del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas), Tripoli riesce a indire la sua zona Sar (search and rescue). A detta di molti esperti è una «finzione giuridica» perché manca una reale capacità operativa, nonostante i milioni di euro e il supporto diretto forniti da Roma, e perché la Libia non è un porto sicuro (lo dice l’Onu). Comunque gli assetti italiani non intervengono più in quell’area, che non va confusa con le 12 miglia di acque territoriali e non determina una sovranità marina ma solo un obbligo di soccorso. Parallelamente aumentano i migranti catturati dai libici e riportati indietro: 9.225 nel 2019; 11.891 nel 2020; fino al record di 32.425 del 2021 (dati Oim).
Con il buco nero dei diritti si allarga anche quello dell’informazione. Il Viminale pubblica ogni giorno il «Cruscotto statistico» con dati aggregati su sbarchi e accoglienza, ma non il ben più ricco documento «Dati statistici relativi ai migranti sbarcati sulle coste italiane». Che riporta i numeri divisi per eventi, data, luoghi di partenza e arrivo. Anche se da quest’anno è meno dettagliato. I prospetti mensili sulle operazioni Sar della guardia costiera, invece, diventano trimestrali nel 2019 e poi spariscono dal 2020. Il mese scorso vengono anche eliminati dal sito i report 2016-2018, come denunciato da Facchini su L’altraeconomia. A raccontare ciò che accade nel Mediterraneo rimangono navi e velivoli Ong, l’instancabile centralino Alarm Phone e alcuni giornalisti, come Sergio Scandura di RadioRadicale che traccia assetti aerei e marini alla ricerca di barche in pericolo ed eventi Sar taciuti.
Populisti, liberali, centro-sinistra e centro-destra si sono passati in questi anni il testimone dell’attacco al sistema di soccorso nel Mediterraneo centrale. Evitando soluzioni che mettano la vita umana davanti a tutto, come imporrebbe non solo un comune senso di umanità ma anche il diritto del mare con le sue consuetudini millenarie codificate giuridicamente nel XX secolo. È con questo panorama, fatto di almeno 8mila morti in mare e 80mila respingimenti in Libia negli ultimi cinque anni, che dovrà confrontarsi il prossimo governo. Tra le fantasie sovraniste di blocco navale, i rischi reali di sottrazione dagli obblighi internazionali e l’ostinazione di chi non si rassegna alle politiche mortifere di Italia e Ue.
Giansandro Merli, il manifesto, 19/8/2022