Disuguitalia 2022. Il rapporto Oxfam Italia

Ogni anno Oxfam Italia propone una fotografia aggiornata e ragionata delle disuguaglianze nel nostro Paese.

Il Report del 2022 pubblicato nei giorni scorsi non fa eccezione e offre uno spaccato impressionante delle moderne forme di sfruttamento lavorativo e di un mercato del lavoro iniquo, sottopagato, discontinuo, sfruttato, insicuro, dal valore sociale scarsamente riconosciuto, con ampi divari territoriali, generazionali e di genere e che produce strutturalmente povertà.

La congiuntura pandemica, la prospettiva di una nuova recessione associata al conflitto in Ucraina, la spirale inflazionistica e le trasformazioni economiche in atto rischiano di impoverire ulteriormente il lavoro e ampliare i divari preesistenti, acuendo quella “crisi del lavoro” che nel nostro paese viene da lontano, ha determinanti strutturali e un carattere sempre più socialmente insostenibile.

Nel contesto europeo l’Italia spicca per una diffusione marcata della povertà lavorativa: nel 2019 l’11,8% dei lavoratori italiani era a rischio di povertà, oltre 2,5 punti percentuali sopra la media UE. Oltre 1 lavoratore su 8 vive in una famiglia con reddito disponibile insufficiente a coprire i propri fabbisogni di base e l’incidenza della povertà lavorativa, misurata in ottica familiare, è cresciuta di tre punti percentuali in poco più di un decennio, passando dal 10,3% del 2006 al 13,2% del 2017. I working poor (o lavoratori poveri) sono passati dal 10,3% al 13,2% della forza lavoro di riferimento. L’incidenza della povertà passa da poco più del 12% per chi ha un lavoro dipendente a oltre il 17% per i lavoratori autonomi. Tra i dipendenti part-time la povertà raggiunge il picco del 19,4%. I lavoratori impegnati in un solo lavoro sono passati dall’87% al 79% nell’arco di un quarantennio. Si conferma la più forte vulnerabilità delle donne al 27,8% nel 2017 a fronte del 16,5% tra i lavoratori uomini.

Se il primo anno della pandemia ha impattato negativamente i segmenti più vulnerabili della forza lavoro – i giovani, le donne e i lavoratori stranieri –, la ripresa del 2021 ha visto il recupero dei rispettivi tassi di occupazione. Le rilevazioni relative al quarto trimestre del 2021 fotografano una ripresa congiunturale dell’occupazione (+80 mila occupati rispetto al trimestre precedente) e un contestuale forte calo degli inattivi. Ma è la qualità delle nuove posizioni lavorative a destare forte preoccupazione. Nell’ultimo trimestre dello scorso anno quasi il 40% delle attivazioni a tempo determinato aveva una durata prevista di 30 giorni (quasi 1 contratto su 8 aveva una durata di un solo giorno), quasi il 30% aveva una durata da due a sei mesi e appena l’1% superava un anno di durata. Lo scorcio del 2021 ha inoltre registrato, in termini tendenziali, unforte aumento del ricorso al lavoro in somministrazione e a chiamata.

Oggi la debolezza qualitativa della ripresa occupazionale, si configura come un ritorno al circolo della precarietà, con prospettive di vita e autonomia flebili e grave incertezza sul proprio futuro per troppe persone ridotte sul lastrico dalla pandemia.

Il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni di età si è sensibilmente contratto in quindici anni, passando dal 25,7% nel 2005 al 16,8% nel 2020 e dal 74,5% nel 2005 al 66,9% nel 2020 nella fascia di età tra i 30 e i 34 anni. Allo stesso tempo, il tasso di occupazione per i lavoratori anziani tra i 55 e i 64 anni di età è salito di oltre 23 punti percentuali passando dal 31,4% del 2005 al 54,2%.

La rappresentazione plastica di quella che nessuno stenta più a definire come una vera e propria bomba sociale del nostro Paese è data dall’altissima percentuale dei NEET, attestatasi nel 2020, tra i giovani nella fascia compresa tra i 20 e i 34 anni di età, al 29,4%: il valore più alto nell’UE. Per i giovani adulti (25-34 anni) l’incidenza è passata dal 23,1% nel 2008 al 30,7% nel 2020 (oltre 12 p.p. sopra la media dell’Unione).

Alla luce di quanto emerge dal Rapporto di Oxfam cresce la preoccupazione. Alla drammatica condizione della qualità della vita nel nostro Paese il governo Draghi non dà risposte concrete, né garantisce investimenti nei settori, territori e fasce di età e popolazione che più avrebbero necessità. Anche il DEF approvato lo scorso aprile in Parlamento e le scelte portate avanti con i fondi del PNRR alimentano e sostengono la visione che ha prodotto la crisi e lo stesso modello di sviluppo neoliberista che per ammissione dell’UE è ritenuto insostenibile socialmente e ambientalmente. Purtroppo, dopo quindici anni in cui peggiorano le condizioni di vita, l’incessante richiesta di ritorno alla “normalità” e la brutale semplificazione dettata dall’agenda della guerra, rischiano di determinare una condizione senza ritorno non solo per la maggioranza della popolazione impoverita ma per la democrazia nel nostro Paese. Per migliorare le nostre vite e rispondere alla crisi di sistema in cui siamo immersi, abbiamo bisogno di una inversione completa di rotta, di un metodo inclusivo e partecipativo e di un radicale ripensamento del modello di sviluppo.

Qui il link per accedere al testo completo del Rapporto:

Oxfam_Disuguitalia_2022


da volerelaluna, Oxfam, 25-05-2022

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