CPR di Torino, chiuso “l’ospedaletto”: una decisione tardiva costata due vite umane
La struttura d’isolamento del centro di permanenza per il rimpatrio di Torino (CPR Brunelleschi), più volte gravemente stigmatizzata dal Garante Nazionale per le persone private della libertà, è stata finalmente chiusa
“L’ospedaletto” com’era chiamata in gergo la struttura di anguste celle d’isolamento, più lontana dalla palazzina uffici – che ospita l’ambulatorio – del CPR di Torino, veniva utilizzato (nonostante l’ipocrisia del nomignolo) come luogo d’isolamento per le persone immigrate detenute – detenzione che avviene senza aver compiuto nessun reato penale – all’interno della struttura.
Un luogo di sofferenza e morte.
Le persone con fragilità psichiche, le persone gay, e tutte quelle persone considerate inadatte alla detenzione nelle aree comuni venivano poste in isolamento nel famigerato ospedaletto.
La normativa che regola la detenzione ai fini di rimpatrio non contempla assolutamente l’isolamento, ciò implica che una persona considerata inadatta alla detenzione nelle aree comuni dev’essere “dimessa” (rilasciata) dal CPR.
In assenza di normativa non è pensabile che “chiunque passi di lì” (ovviamente parliamo di Autorità) possa decidere arbitrariamente che tipo di misure “alternative” utilizzare se non sono espressamente contenute nell’impianto normativo.
Eppure ciò a Torino è sempre successo: i centri di permanenza per il rimpatrio sono un triste e deprecabile esempio di strutture detentive private, ma i gestori dei CPR agiscono in nome e per conto dello Stato, e le Autorità sono chiamate a vigilare sulla corretta applicazione delle norme.
Questo sistema dell’isolamento nel CPR di Torino avviene da tempo, difficile pensare che tutti non ne fossero a conoscenza e che non avvenisse, quindi, col beneplacito di tutti, Ente gestore, Autorità, perfino i medici, visto che risulta che le persone migranti detenute nel CPR di Torino venivano destinate all’ospedaletto molto spesso, se non principalmente, a seguito di diagnosi mediche.
Non risulta che ci siano state denunce in questo senso da parte del personale medico contrattualizzato da GEPSA s.a., l’Ente gestore del CPR di Torino.
Nel luglio del 2019 nell’ospedaletto è morto di complicanze cardiache Faisal Hossain, dopo – ma solo dopo – la sua morte sono stati messi, all’interno delle cellette dell’ospedaletto, dei pulsanti collegati ad un campanello, campanello che però suona solo in guardiola.
Prima non c’era modo di comunicare con la palazzina dove c’è ambulatorio, la più lontana dall’ospedaletto, se non urlando.
Il 23 maggio 2021, posto in isolamento in una celletta nell’ospedaletto a seguito di una diagnosi per una malattia dermatologica contagiosa, risultata poi non vera, Moussa Balde si è tolto la vita.
Le associazioni che si occupano dei diritti dei migranti tuonano da anni contro “l’ospedaletto” di Torino e più in generale contro l’istituto dell’isolamento all’interno del regime detentivo ai fini di rimpatrio, ma, come è successo per il Garante, per anni non sono state ascoltate, sono state ignorate, com’è stata ignorata la normativa, il Regolamento CIE 2014, che non prevede l’isolamento.
ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha pubblicato il “Libro Nero del CPR di Torino: testimonianze di ordinaria ferocia“.
Il TG3 del Piemonte ha dichiarato che l’ordine di chiusura dell’ospedaletto è estato emesso dal Ministero degli Interni: ci sono volute 2 indagini della magistratura, una fortissima presa di posizione del Garante Nazionale dopo la morte di Moussa Balde e, ancor peggio, 2 morti, per far sì che l’Autorità che vigila e gestisce la detenzione ai fini di rimpatrio, attraverso gli uffici territoriali, ovvero le Prefetture, prendesse una decisione che semplicemente rientra nell’alveo della normativa.
Moussa Balde è stato rinchiuso in detenzione nel CPR di Torino il giorno dopo aver subito un feroce pestaggio a Ventimiglia, ma non solo: era guineiano, da anni non si effettuano rimpatri nella Repubblica di Guinea (Guinea Conakry), non c’era alcuna possibilità che potesse essere rimpatriato, eppure, vittima di un pestaggio, è stato posto in regime di detenzione e poi in regime di isolamento nel CPR di Torino.
L’art. 14 del Dlgs 286/98 (Testo unico sull’immigrazione) dice: “Quando non e’ possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, a causa di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri piu’ vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
A tal fine effettua richiesta di assegnazione del posto alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, di cui all’articolo 35 della legge 30 luglio 2002, n. 189.
Tra le situazioni che legittimano il trattenimento rientrano, oltre a quelle indicate all’articolo 13, comma 4-bis, anche quelle riconducibili alla necessita’ di prestare soccorso allo straniero o di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identita’ o nazionalita’ ovvero di acquisire i documenti per il viaggio o la disponibilita’ di un mezzo di trasporto idoneo.”
La domanda è: qual è la quantificazione di “tempo strettamente necessario” per un rimpatrio che non avverrà mai? Non solo: quanto è transitoria una situazione che dura da anni?
La chiusura dell’ospedaletto è una vittoria? No, è la fine di una, una sola, delle tante sconfitte di uno Stato che, nei fatti, dimostra di non aver nessuna volontà di rispettare i diritti delle persone migranti, di esseri umani.
da pressenza, redazione di Torino, 9/9/2021