Nell’assenza di informazioni sulla stampa italiana diffondiamo questo articolo di Claudia Fante apparso su il manifesto del 27 agosto 2021.
Ancora massacri, violenze, assassinii selettivi, repressione. Non accenna ad arrestarsi quel «genocidio politico» di cui il Tribunale permanente dei popoli, nella sua sentenza del 17 giugno scorso, ha riconosciuto colpevole lo Stato colombiano durante gli ultimi 19 governi.
E se il Tpp ha ricondotto le maggiori atrocità ai governi presieduti da Álvaro Uribe, dal 2002 al 2010, di certo non scherza neppure quello del suo figlioccio politico, l’attuale presidente Iván Duque.
Secondo l’Indepaz, l’Istituto di studi per lo sviluppo e la pace, solo nel corso di quest’anno si sono registrati 67 massacri e sono stati uccisi 112 leader sociali – gli ultimi tre tra sabato e mercoledì -, per un totale di 819 a partire dall’insediamento presidenziale di Duque nel 2018 e di 1.227 dalla firma, due anni prima, di quell’Accordo di pace rimasto in massima parte sulla carta.
Con l’assassinio, domenica scorsa nel dipartimento del Caquetá, di Jair Danilo Calderón Aranda, sono arrivati a 284 gli ex combattenti per cui è risultata fatale la rinuncia alle armi, 35 dei quali uccisi nell’anno in corso. Tra loro anche Hernán Vásquez, assassinato il 9 agosto, sempre nel Caquetá, mentre si trovava in vacanza dai suoi studi di medicina a Cuba, dove sarebbe dovuto rientrare domani.
Grande indignazione ha provocato in particolare, lunedì scorso, l’assassinio a Popayan, in pieno centro, del leader studentesco Esteban Mosquera Iglesias, 26 anni, studente della facoltà di Musica dell’Università del Cauca, raggiunto da diversi proiettili sparati da due sicari a bordo di una motocicletta.
Già nel dicembre 2018, durante una pacifica mobilitazione studentesca, Mosquera aveva perso l’occhio sinistro a causa di un gas lacrimogeno lanciato, dritto in faccia, da un agente dell’Esmad, lo Squadrone mobile antisommossa della polizia colombiana.
Non aveva tuttavia rinunciato alla lotta, iniziando a collaborare con il mezzo di comunicazione alternativa Contra Portada, per il quale accompagnava il «paro nacional», la rivolta antigovernativa iniziata il 28 aprile e mai del tutto rientrata.
Perché, malgrado la sospensione delle mobilitazioni decisa a giugno dal Comité del paro, la lotta della «Primera línea» – l’avanguardia delle proteste costituita soprattutto dai giovani dei quartieri poveri, i veri protagonisti, nei mesi scorsi, di barricate e blocchi stradali – non si è mai interrotta.
Tant’è che, come ha riferito ieri il quotidiano El Tiempo, proprio per la sua partecipazione alle proteste antigovernative è stato arrestato a Bogotá il 34enne italiano Silvio Ginanneschi, che verrà immediatamente espulso dal paese.
Entrato in Colombia il 21 agosto, si era unito alla Primera línea, entrando a far parte di un gruppo di circa 200 persone che si erano scontrate con l’Esmad, martedì scorso, a Usme, un quartiere della capitale.
Già a fine luglio, del resto, il governo colombiano aveva espulso la cittadina tedesca Rebecca Sprösser, con l’accusa di aver preso parte alle manifestazioni di protesta a Cali. Era con lei che si trovava il leader della Primera línea Johan Sebastián Bonilla, già vittima di minacce e intimidazioni, quando il 22 luglio scorso è stato raggiunto da 13 colpi di arma da fuoco.
«Abbiamo dovuto portarlo in tre ospedali, perché i primi due erano pieni – ha poi riferito Rebecca Sprösser – Non si è mai lamentato, ha lottato come un leone. L’unica cosa che mi ha chiesto è stata di non lasciarlo solo. E ho mantenuto la promessa».
Ed è proprio di fronte ai reiterati massacri e assassinii di leader sociali e di ex combattenti, alla persecuzione dei giovani manifestanti, alle permanenti violazioni dei diritti umani e all’assenza di dialogo con i settori sociali che il Comité del paro ha convocato ieri una nuova giornata di protesta a Bogotá e nelle principali capitali dipartimentali.
Una mobilitazione che si è posta, tuttavia, anche altri due obiettivi: quello di denunciare il nuovo progetto di Riforma Tributaria – dopo la revoca del primo a causa della rivolta sociale – e quello di esigere dal Congresso la discussione dei dieci progetti di legge presentati dal comitato dopo il fallimento dei negoziati con il governo Duque, dal reddito di emergenza all’accesso gratuito all’università, dal rafforzamento del sistema di salute pubblico al sostegno alle piccole e medie imprese, fino alle garanzie del diritto alla protesta pacifica.
Anche se, in assenza di una pressione delle piazze come quella registrata a maggio, è assai improbabile che i progetti di legge presentati dal Comité del paro possano trovare accoglienza in un Congresso dominato dalle destre.
Claudia Fante, il manifesto, 27/8/2021