Firenze, 17 aprile 2021. La Corte costituzionale rileva l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, una misura del regime penitenziario previsto dal nostro ordinamento che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di certi reati particolarmente gravi, come quelli di mafia, nel caso in cui il soggetto condannato non collabori con la giustizia.
Il comunicato emesso dalla Corte, a conclusione della camera di consiglio, dichiara l’ergastolo ostativo incostituzionale poiché in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, nonché con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu).
L’articolo 3 della Costituzione riguarda la pari dignità sociale, mentre l’articolo 27 stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. L’articolo 3 della Cedu invece “proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante”.
Tuttavia, l’accoglimento immediato delle questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione, motivo per cui si è pronunciata la Corte, “rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”, quindi la Corte ha stabilito di rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al Parlamento di cambiare la legge.
La Corte ha scelto di non intervenire, come era già accaduto nel caso Cappato, ma ad oggi il Parlamento non ha ancora legiferato in merito e dubitiamo che non accada ancora.
Sembra ormai che si siano “inventate” delle leggi incostituzionali che rimangono in vigore per un anno.
Questo fatto riapre il confronto sulle “leggi speciali” e sull’ergastolo in generale.
Ci pare che sia convinzione comune che le mafie si sconfiggano soprattutto attraverso un rigoroso percorso giudiziario preceduto da un altrettanto tenace percorso di investigazione. Ci pare che questa scelta sia ormai diventata sostitutiva di qualsiasi intervento sul piano sociale al fine di sottrarre alla criminalità organizzata di stampo mafioso le condizioni favorevoli al loro sviluppo: qualità della vita, lavoro, sviluppo del territorio sono sempre di più temi di programmi politici irrealizzati, utili, forse, solo per la propaganda elettorale.
Nonostante i recenti successi conseguiti dalla Magistratura contro le mafie queste non sono state sconfitte proprio perché è del tutto assente il percorso di intervento politico finalizzato ai mutamenti delle condizioni economiche, sociali e culturali dei territori dove queste agiscono.
Chiedere che lo Stato “si vendichi” sui mafiosi che non collaborano per ottenere migliori risultati giudiziari è sbagliato, come dice la Corte costituzionale, ma anche illusorio e dimostra come l’azione giudiziaria sia diventata un alibi per la politica per non agire sulle cause dello sviluppo della criminalità organizzata.
Tutti i provvedimenti “speciali”, come l’ergastolo ostativo ma anche l’applicazione del 41bis (isolamento permanente in “regime carcerario speciale”) sono la manifestazione del fallimento dello Stato nell’azione di contrasto alle mafie, lo Stato rinuncia alle proprie prerogative politiche e delega alla Magistratura e alle misure del regime penitenziario la soluzione dei problemi. Lo Stato tradisce il mandato costituzionale proprio perché incapace di sviluppare una efficace lotta alla criminalità organizzata.
Ci turba che associazioni come Libera abbiano concentrato così tanto l’attenzione esclusiva sul tema della “legalità” da perdere di vista il senso del rispetto dei diritti costituzionali e umani, appellandosi alla “…peculiarità della natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso e delle relative regole penitenziarie”, per accettare che quei diritti vengano ignorati per evitare di dare “segnali di indebolimento” dello Stato nella lotta contro le mafie.
Uno Stato che non agisce per mutare le condizioni economiche, sociali e culturali che permettono alle mafie di proliferare è già debolissimo e non c’è legalità che possa supplire all’assenza dell’azione politica!
marco sansoè