La morte di Stefano Cucchi non è solo un delitto di Stato ma ci rivela l’incapacità di questo Stato di affrontare i problemi relativi alla condizione giovale.
Incapace di capire e agire sui problemi, inscrive i comportamenti giovanili nel registro delle devianze e introduce nuove categorie (come il bullismo) per poter affrontare tali fenomeni soli in termini repressivi.
Il controllo del territorio messo in atto da Questori fanatici, più che zelanti, si trasforma ogni sera in una pratica discriminatoria contro i comportamenti giovanili che rassicura la “gente normale” ma non interviene sulle cause delle nuove violenze e del diffuso consumo di sostanze; aggrava le tensioni e induce molti comportamenti e divenire stabili e poi cronici, vissuti nell’isolamento disperato, distruttivo e autodistruttivo.
La criminalizzazione dei comportamenti è l’alibi che le Istituzioni si procurano per non intervenire sulle condizioni, sempre meno facili, dei giovani, costretti ad anni di lavoro precario e lunghi periodi di disoccupazione nell’incertezza per il futuro.
Queste Istituzioni sono lo specchio di una società nella quale il trionfo dell’individualismo proprietario ha creato solitudine, isolamento e discriminazioni. La tranquillità dei “benpensanti normalizzati” è pagata da un mondo giovanile inquieto e disperato, alla ricerca di una via d’uscita immediata che spesso è solo effimero divertimento e sballo per uscire da una condizione disperante.
Non c’è soluzione fino a quando Istituzioni e apparati dello Stato, alla ricerca di una immagine di efficienza securitaria, svolgeranno una esclusiva azione repressiva (che spesso si nasconde dietro l’ipocrita definizione di “prevenzione”).
L’assassinio di Stefano ci dice che lo Stato è colpevole due volte e ci obbliga a reagire con la denuncia forte e irriducibile, ma anche con la proposta.
Ci vuole un progetto per una migliore qualità della vita che abbia come soggetti i giovani, anche se non votano anche se sono minoranza.
Cultura, scuola, nuovo mercato del lavoro e nuovi lavori: cura del beni culturali e ambientali, cura della persona, energie pulite e alternative; sarebbero le scelte prioritarie se la politica uscisse dalla semplice ragioneria, dal calcolo del beneficio d’impresa e dalla vocazione moralista e pettegola.
Ci vuole un progetto di società che uscendo dalla logica del profitto si prenda cura delle persone, della loro condizione, del loro futuro. Se non ora quando?