Miniera Zimbabwe, i cinesi sfrattano ventimila abitanti

Ecco affacciarsi in modo sempre più evidente il “socialimperialismo” della Cina nei paesi africani.   La potenza dai risultati economici “miracolosi”,  frutto dei bassi costi di produzione, degli alti livelli di produttività, della ridotta conflittualità e dell’alto tasso di controllo sociale, sta esercitando sempre più pressioni economiche nel cuore dell’Africa.   Sfruttando i bisogni dello sviluppo economico e del sistema politico corrotto riesce sempre più a condizionare i processi economici del continente africano. 

Ma in Africa, come nel resto del mondo, le popolazioni non intendono sottomettersi a modelli di sviluppo che non facciano i conti con i bisogni veri e con il rispetto dell’ambiente. Il caso delle cave di granito dello Zimbabwe sono uno degli episodi più recenti… 

Forse i nostri politici penseranno che anche lì ci sia chi vuole fermare il progresso e lo sviluppo, ma noi sappiamo, invece, che questa è una storia di democrazia economica, anche a Domboshava non si accetta che le scelte economiche si facciano senza coinvolgere le popolazioni dei territori!

La licenza concessa alla Aihua Jianye Company minaccia Domboshava e le sue antichissime pitture rupestri. Popolazione in rivolta, governo tra l’incudine e il martello. Lo sfruttamento del granito non ha migliorato la vita delle popolazioni. E la protesta stavolta sembra pagare.   Articolo apparso su il manifesto di oggi 8 maggio. 

Miniera Zimbabwe, i cinesi sfrattano ventimila abitanti

di Andrea Spinelli Barrile

«Domboshava, in lingua Shona, significa “roccia marroncina”. Guardala, è abbagliante e grazie ai licheni che vi crescono, rossi, verdi e grigi, i suoi colori cambiano con il cambiare delle ore del giorno» dice Joy Mahute.
Domboshava Cave è un piccolo parco nella Repubblica dello Zimbabwe: si trova a circa 30km a nord-est della capitale Harare, nella provincia del Mashonaland East, ed è un area di colline granitiche e formazioni rocciose levigate dall’erosione del vento. Enormi massi tondeggianti come sculture di Botero e splendenti come l’oro si ergono massicci e imponenti formando un monumento nazionale che sembra uscito da un libro di Wilbur Smith, comprese alcune caverne con pitture rupestri realizzate da guerrieri cacciatori tra il 6.000 e il 2.000 avanti Cristo. Scene di caccia, danze, animali come il rinoceronte, l’antilope e intere famiglie di elefanti perfettamente dipinte su pareti levigatissime di cavità che sembrano abbandonate l’altro ieri.
Un sito turisticamente splendido ma poco sfruttato, fuori dalle rotte tradizionali.
Tra queste alture la collina più grande di tutte, un’enorme pietra dorata, si chiama anch’essa Domboshava e dà il suo nome al villaggio che si trova ai suoi piedi. Ci vivono perlopiù agricoltori e artigiani ceramisti, l’area è nota per le coltivazioni di pomodoro e generi ortofrutticoli e vi si riforniscono moltissimi distributori di Harare.
Proprio qui, ha denunciato il quotidiano locale The Standard, la compagnia mineraria cinese Aihua Jianye Company ha acquisito per 500 milioni di dollari una licenza per il diritto di sfruttamento di una miniera di granito, che sarebbe stata concessa per un raggio di 5km dalla cava senza le dovute consultazioni con i residenti. Poche settimane fa questi hanno ricevuto l’avviso di sfratto: 20.000 persone di reddito medio-basso che dovranno trovarsi una nuova sistemazione in nome di un diritto minerario che, secondo la legge post-coloniale dello Zimbabwe, è più forte del diritto all’occupare. Il clamore della notizia e le proteste dei residenti di Domboshava, sui social media e per le strade, hanno trovato sponda nel deputato locale, e viceministro dell’Informazione, Energy Mutodi. Ma anche, dopo diversi giorni di silenzio, del presidente Emmerson Mnangagwa che avrebbe ordinato alla Aihua Jianye di interrompere le sue attività.
La legge dello Zimbabwe in materia ambientale prevede, prima dell’inizio di ogni attività mineraria, la concessione di un certificato di valutazione di impatto ambientale (Eia), che specifichi in che modo si intende proteggere la natura e gli abitanti. Questo non esula il paese africano dall’inesorabile miraggio delle «risorse del sottosuolo uguale più lavoro»: a Mutoko, nella regione del Mashonaland East, 145km a nord-est di Harare, dove diverse compagnie straniere sono concessionarie di alcune cave, il pesante sfruttamento minerario del granito non ha migliorato le condizioni di vita delle popolazioni locali, che hanno subito anche un progressivo e rapido peggioramento delle condizioni ambientali.
Ma oltre la notizia ci sono altri contesti. Secondo alcuni media gli abitanti avrebbero denunciato a Mutodi, durante un incontro, un giro di corruzione in cui sarebbero coinvolti l’azienda cinese e il deputato locale dell’opposizione.
Vero è anche che questo scandalo e soprattutto la sua conclusione, per ora solo annunciata, cascano a fagiuolo perché solo il governo dello Zimbabwe ha il potere di concedere le licenze minerarie, che dovrebbero essere infine approvate dal Parlamento. Cosa che non è avvenuta. Altrettanto vero è l’interesse reciproco tra Harare e Pechino: lo Zimbabwe ha assoluto bisogno di liquidità e di investimenti stranieri e le sue risorse minerarie fanno comprensibilmente gola alla Cina. Nel settembre 2018 il neo-eletto Presidente Mnangagwa, in visita da Xi Jinping, nutriva grandi speranze sulla possibilità di un prestito iniziale di 2 miliardi di dollari, ma per ora non è accaduto nulla di significativo. La carenza di valuta e la corruzione restano problemi cronici in Zimbabwe e rappresentano ben più di un punto a sfavore per gli appetiti degli investitori, anche cinesi.
La recente impennata dell’inflazione, con i prezzi degli alimentari e dei carburanti decuplicati in meno di un mese, ha fatto crescere un malcontento forte nella popolazione e la muscolare risposta dell’esercito non ha giovato a nessuno. Mnangagwa, per anni braccio destro del presidente Robert Mugabe, ha promesso un’inchiesta e pene esemplari per i militari violenti: lo stesso aveva fatto anche dopo le elezioni dell’estate 2018 ma di effetti non se ne sono visti.
Il potere si trova tra l’’incudine e il martello: da un lato la necessità di favorire le uniche aziende attualmente interessate al paese, quelle cinesi, e dall’altro l’urgenza di mantenere le promesse in materia di crescita economica e giustizia sociale.
Con la caduta di Mugabe i giornali e le radio abbondano di dibattiti politici accesi e opposti e circolano notizie non smentite circa una sostanziale divisione dei ruoli all’interno del governo, con l’anziano Emmerson Mnangagwa per la rappresentanza e il più “giovane” ex-militare Constantino Chiwenga, suo vice, per tutto il resto. Di certo c’è solo che lo Zimbabwe fatica a mostrarsi disciplinato sul perseguimento dei propri obiettivi politici, economici e sociali.

il manifesto, 8/5/2019

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