Europa Nazione …di Franco Berardi “Bifo”

A proposito di Europa, della sedicente “civiltà europea”, proponiamo la lettura di un testo di Berardi “Bifo” apparso sulla rivista on line alfabeta2 qualche settimana fa.  Un intervento durissimo che ci “obbliga” a riflettere e fare i conti con la nostra storia presente. 

Mentre in Italia falsi innovatori ricompongono una cultura politica reazionaria e moderati perbenisti continuano a riproporre strade fallimentari, accumunati dall’illusione di una “governance” impossibile perché annientata da poteri sovranazionali economico-finanziari, l’Europa continua nella sua deriva non solo più politica ma culturale e antropologica.  La potremo chiamare la fine della “civiltà europea” se davvero questa “civiltà” fosse mai esistita: un abbaglio garantito da 50 anni di pace in Europa e da 50 anni di guerra permanente nel resto del mondo gestita dalle potenze europee! 

Non crediamo che questa deriva sia inarrestabile, ma sicuramente è irreversibile, ciò a cui dobbiamo pensare è altro, non certo la ricostruzione di una politica definitivamente superata, di una idea di democrazia finita che non può che essere ripensata a partire da ciò che c’è, dai bisogni e dal modo nel quale questi si esprimono attraverso movimenti e comunità che provano a sottrarsi dalla tirannia delle istituzioni fallite, per prendere su di sé la responsabilità di costruire un altro mondo possibile.

 

Europa Nazione

Franco Berardi “Bifo”

L’Unione europea fu concepita come progetto post-nazionale. Solo una piccola minoranza dell’opinione europea (una minoranza fascista) parlò nei decenni passati di Europa come nazione. Quel che è accaduto negli ultimi dieci anni ha progressivamente cancellato e depotenziato la vocazione post-nazionale, e ha portato a emergenza l’identità d’Europa come Nazione Bianca.
Le elezioni italiane segnano un nuovo passaggio – forse decisivo – nella disintegrazione di quella che fu l’Unione europea, e la trasformazione di quel progetto post-nazionale in un processo di fondazione della Nazione europea come entità di guerra razziale permanente.
Da Maastricht in poi l’Unione europea ha funzionato come dispositivo neoliberista finalizzato allo spostamento di risorse dalla società verso il sistema finanziario. Venticinque anni di politiche monetariste rivolte allo smantellamento dello stato sociale e alla precarizzazione del lavoro hanno prodotto l’effetto che potevamo attenderci e ci attendevamo: un’ondata di rigetto sempre più vasto del progetto europeo, un’ondata di nazionalismo legato alla rabbia impotente di coloro che hanno subito l’impoverimento sociale.
La popolazione della grande maggioranza dei paesi europei si è espressa contro le politiche globalizzanti e neoliberiste, e particolarmente contro il Fiscal compact, cioè l’imposizione di un debito che dissangua la vita sociale e sposta capitale verso il sistema bancario.
Dapprima, tra il 2011 e il 2015, questo rifiuto si è configurato come opposizione sociale: l’acampada spagnola, il movimento Occupy e infine il referendum greco contro l’imposizione del memorandum da parte della troika hanno segnato il tentativo di fermare il prelievo finanziario e lo smantellamento delle strutture sociali. Ma l’opposizione sociale è stata sconfitta, perché non disponeva degli strumenti concettuali e materiali per opporsi alla governance finanziaria, forma post-nazionale e astratta di dominio, contro cui nulla poteva un movimento territorializzato su base nazionale. L’impotenza è il tratto decisivo della vita sociale dopo la crisi del 2008: impotenza a resistere all’assalto predatorio della finanza, a impedire lo smantellamento delle strutture pubbliche come la scuola e la sanità, a mantenere un livello di vita paragonabile a quello delle generazioni passate. L’impotenza si è presto trasformata in risentimento, volontà di vendetta, e nostalgia reazionaria per la sovranità nazionale.
A questo punto si è presentata la nuova minaccia: la grande migrazione, effetto di processi di lunghissima durata (depredazione coloniale delle risorse umane e fisiche, degradazione dell’ambiente) e di processi più recenti, come la guerra scatenata dal clan Bush in Medio Oriente, cui i paesi dell’Unione europea si sono accodati, e le guerre francesi contro la Libia e contro la Siria, che hanno messo in moto il pandemonio.
La crisi dell’Unione europea, di cui le elezioni italiane rappresentano a mio parere il passaggio finale, è dunque nata dalla reazione contro due processi convergenti di deterritorializzazione: l’impoverimento generato dalla governance post-nazionale, che ha provocato una rivendicazione sovranista, e la grande migrazione, percepita come invasione del territorio bianco da parte delle vittime delle invasioni bianche del passato.
Questi due filoni della rabbia impotente si sono fusi in un unico potente movimento di riterritorializzazione reazionaria.
Incapace di concettualizzare quel che sta accadendo, l’opinione democratica e neo-liberale ha tentato di esorcizzare la duplice reazione con un’unica parola: populismo. Ma si tratta di un’espressione che non spiega niente e confonde due fenomeni del tutto differenti (il rifiuto sociale dell’impoverimento e il razzismo riemergente nell’inconscio europeo).
L’opinione democratica e neo-liberale difende un feticcio (la democrazia, cui non corrisponde più niente nella realtà politica post-nazionale) e difende un’ossessione (la crescita economica, la competizione, insomma la concentrazione di potere economico da parte della macchina astratta della finanza). Ma per difendere questo feticcio e questa ossessione identifica l’onda reazionaria montante con una definizione che potenzia l’onda reazionaria: populismo è tutto ciò che non si piega alle tendenze deterritorializzanti dello sfruttamento finanziario e della mobilità migrante.
Ma queste due tendenze sono distinte, anche se ovviamente interagenti. I due movimenti reattivi vanno considerati distintamente: una cosa è la difesa della vita sociale contro il profitto finanziario, un’altra cosa è la paura della grande migrazione.
Confondendo i due movimenti si ottiene l’effetto che abbiamo sotto gli occhi: il montare incontenibile di un’onda che ha un solo nome: nazional-socialismo.
Il nazismo è la tendenza emergente in larga parte del continente europeo, anche se questa parola è impronunciabile.
La dinamica che si manifestò in Germania dopo il Congresso di Versailles si è ripresentata su scala continentale per effetto della scomparsa di una sinistra capace di opporsi all’offensiva finanziaria, e per effetto dell’incapacità della politica europea di fare i conti con l’eredità del colonialismo.
Non so come potrà evolvere la situazione italiana nei prossimi mesi, ma mi pare evidente che l’unico elemento che accomuna tutte le forze politiche, in Italia come in tutti gli altri paesi europei, è il respingimento dell’onda migratoria inarrestabile. Sul respingimento razzista e sullo sterminio convergono perfettamente i vincitori delle elezioni, la Lega e i Cinque stelle, e i perdenti delle elezioni, il Partito democratico che con Marco Minniti ha espresso pienamente il razzismo costitutivo dell’Unione europea.
Su questo punto, il respingimento e lo sterminio, il fronte europeo si ricompone compatto.
Sul razzismo della popolazione europea (non dei governi nazionali, che su questo punto riflettono la volontà della maggioranza) si fonda la nuova identità della nazione europea (Nazione, perché fondata su un’identità razziale, e perché portatrice di sterminio e di guerra).
Il razzismo e il nazionalismo sono la conseguenza e il rovescio dell’impotenza sociale accumulate nell’ultimo decennio.
Le elezioni italiane hanno portato a compimento il processo di nazificazione dell’unione europea, anche se questa realtà è innominabile. Lo sterminio razzista – che si manifesta oggi nella costruzione di un campo di concentramento gigantesco nel quale milioni di non-bianchi sono detenuti, torturati, schiavizzati, eliminati, e alla fine annegati se tentano di fuggire – è il futuro già scritto di quella che, con sublime disprezzo dell’evidenza, continua a chiamarsi unione europea.

alfaberta2, 1/4/2018

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