Contro l’alternanza scuola-lavoro… Per una scuola di cultura critica e metodo scientifico!

Mentre in molte città gli studenti sfilano in corteo contro “la buona scuola” ed in particolare l’alternanza scuola-lavoro, a Biella tutto tace. Insegnanti e dirigenti scolastici si improvvisano “giocolieri” che fanno apparire e scomparire progetti e accordi con imprese e enti vari per rendere possibile la realizzazione del piano. 

Questo progetto nazionale, che vorrebbe avvicinare la scuola al mondo del lavoro, si è trasformato in una caccia all’impresa disponibile a dare spazio al “lavoro gratuito” di ignari studenti che, disinformati e estranei ad una autentica programmazione, si piegano divertiti a questa nuova avventura, piacevole perché avviene fuori da una scuola che poco li soddisfa e spesso li annoia.

Imprese del precariato di professione (Randstad) insegnano ad essere ben vestiti e disinvolti per ottenere un lavoro; aziende piccole e medie si rendono disponibili a fare lavorare gratis gli studenti per almeno 4 settimane durante l’estate; le grandi imprese (Fca) offrono pacchetti tutto compreso (prendere o lasciare) di formazione professionale specifica; mentre la cultura è assente, l’analfabetismo di ritorno avanza e la cultura del lavoro e dei diritti non c’è e i sindacati sono invisibili!

Intorno scorre il vento leggero dell’illusione coltivata dai genitori, che tutto ciò possa favorire l’assunzione, dopo il diploma, dei propri figli!

Ma nessuno si vergogna, pochi tra i docenti si interrogano se sia giusto accettare di svolgere il ruolo del “facilitatore” aziendale, se questo sia davvero il loro compito; e sia per questo che hanno studiato e per questo siano stati assunti nel mondo della scuola!

Tutto scorre come immersi in una atmosfera impalpabile e nervosa; rassegnata e caotica… Cosa accadrà tra qualche anno, quando gli studenti si accorgeranno di essere stati presi in giro? quando capiranno che la fabbrica e l’ufficio non sono dei bei luoghi dove passarci la vita? quando il mercato del lavoro avrà sostituito la massa dei vecchi lavoratori con quelli giovani, che lavoreranno molto più a lungo, e diverrà saturo? quando l’ennesima inchiesta ci dirà che i nostri giovani non sapranno quasi nulla (e tra un po’ anche gli insegnati sapranno sempre meno)?

Di seguito un articolo di  Alba Sasso da il manifesto…, buona lettura!

Spreco e confusione nell’alternanza scuola-lavoro, …di Alba Sasso

Quest’idea dell’alternanza scuola/lavoro, obbligatoria per tutta la scuola secondaria superiore, pezzo forte della legge 107, è cominciata nell’incertezza e sta finendo nel caos. Come ci riportano le cronache di questi ultimi giorni.

Ci ricordiamo bene Matteo Renzi che spiegava alla lavagna, come un ‘buon maestro’, la «buona scuola». E che con la bacchetta indicava il pezzo forte e qualificante della sua riforma, appunto l’alternanza scuola-lavoro: 200 ore nel triennio dei licei, 400 nel triennio di tecnici e professionali.
Uno strumento per rinnovare la scuola, con un’immersione nel mondo del lavoro, per formare al «senso di iniziativa e di imprenditorialità». Le cose devono cambiare: la scuola si deve aprire al futuro, alla capacità del fare, all’imparare «facendo».
Non solo, nell’epopea renziana l’alternanza è anche trampolino «verso una professione», nella speranza che gli stage possano permettere di abbassare quel 46% di disoccupazione giovanile, tarlo e remora per lo sviluppo del Paese.
Mai viste e sentite tante sciocchezze tutte insieme.
Eppure la scuola, quella buona davvero, si è rimboccata le maniche e ha avviato percorsi, progetti, a volte anche pregevoli, sempre tra mille difficoltà.
Ma il problema sostanziale è che un’attività resa obbligatoria per tutti gli studenti per legge, in assenza di qualsiasi strumento offerto alle scuole per la sua organizzazione, finisce con il produrre approssimazione, spreco, confusione, se non peggio.
Un monitoraggio dell’Unione degli studenti sulle esperienze di 15.000 studentesse e studenti ci dice che oltre la metà degli intervistati dichiara di partecipare a percorsi non inerenti ai propri studi e che quattro studenti su dieci ammettono di non essere messi nelle condizioni di apprendere, nel percorso di alternanza.
E infatti, al di là degli slogan già ricordati, qual è il senso vero di questa operazione? Si impara un lavoro, si conosce un ambiente di lavoro, si riflette su una filosofia e un’organizzazione d’impresa? Da McDonald, da Zara? (Sono, infatti, due grandi gruppi che hanno fatto un accordo con il Ministero.)
La scuola è stata lanciata in questa avventura, senza che venisse fatta chiarezza su obiettivi e strumenti. Senza predisporre una struttura organizzativa e normativa che renda possibili i percorsi e ne garantisca utilità ed efficacia. Alcuni esempi? La maggior parte dei luoghi di lavoro non è attrezzata per accogliere studentesse e studenti e non è stata ancora definita la Carta dei diritti e doveri dei soggetti in alternanza. E per di più i percorsi di alternanza spesso comportano costi per studenti e famiglie.
Nel 2016, il primo anno dell’applicazione della riforma, ha partecipato all’esperienza di alternanza uno studente su tre, il 60% nei professionali, il 20% nei licei.
In queste condizioni di assoluta difficoltà organizzativa non c’è da stupirsi se molte scuole finiscono col far svolgere l’alternanza (in realtà stage) nel periodo estivo, magari a piccoli gruppi che vanno a fare i camerieri in Italia o all’estero, per coprire le ore e poter poi fare gli esami finali. Ma con quali tutele e con quale efficacia formativa? Per non parlare di episodi vergognosi recentemente accaduti e denunciati, dalle molestie alle studentesse, al ricorso a studenti in alternanza per lavori, che non rientrano in nessun piano formativo, e che dovrebbero invece essere affidati a lavoratori regolarmente retribuiti.
E quante ore sono state sottratte all’apprendimento con questo modo di procedere?
L’alternanza scuola lavoro non è una novità, era prevista già dalla legge 53 del 2003, meglio conosciuta come legge Moratti. Ma la obbligatorietà del percorso, imposta dalla «buona scuola», ha portato molte scuole a un’applicazione forzata della legge stessa per timore di non svolgere le ore previste, necessarie per sostenere gli esami finali, e a doversi inventare percorsi e soluzioni improvvisate.
Il rapporto scuola-mondo del lavoro è una cosa seria, se non è un obbligo ma un’opportunità, se rappresenta uno scambio di sapere e di esperienza, e se davvero riesce a far crescere e consolidare processi di apprendimento e di crescita, umana e civile.
Con un po’ di umiltà bisognerebbe davvero fermarsi per un bilancio di quel che sta accadendo, nel bene e nel male. E dovrebbe essere soprattutto il Ministero a farlo, smettendo di difendere l’indifendibile.

il manifesto, 11/10/2017

 

 

 

5 commenti

  1. Condivido Marco e ti rispondo volentieri soltanto per dirti che hai ragione. Spero tanto però che i docenti e gli studenti non siano tutti come lo descrivi. Un caro saluto.
    Claudia
    P.s se mi dai l’ok vorrei pubblicare il tuo scritto su fb.

    Claudia

  2. Ciao Marco,
    come stai? E’ tanto che non ci vediamo/sentiamo, ma ricevo sempre con piacere le tue mail.
    Vorrei una volta tanto consigliarti io un libro che credo apprezzerai molto se già non ti è capitato fra le mani (è uscito pochi giorni fa).
    Si tratta di “Non è lavoro, è sfruttamento” di Marta Fana Ed. Tempi Nuovi. Lei è una ricercatrice che ha studiato a Parigi.
    All’interno c’è anche un bel capitolo su questa porcheria dell’alternanza scuola lavoro.

    A presto, Michele

  3. Io sto cercando di fare valutare quanto fatto in attività culturali scelte consapevolmente dagli studenti quali l’attività teatrale proposta a un pubblico. Vedremo cosa accadrà.

    In ogni caso, compagno, sarò con te… fino a quando non andrai in pensione.

    Renato

  4. Ciao Marco,
    non molti anni fa un ministro della Repubblica Italiana affermò che con la cultura non si mangia…
    Purtroppo, nel nostro paese, dire certe cose produce molta più indignazione che farle…
    In parte, infatti, credo che l’alternanza scuola-lavoro si stia muovendo in questa direzione…
    L’immagine di una scuola proiettata verso l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro dovrebbe rassicurare le famiglie sul futuro dei propri figli… Si parla di un paese che sta uscendo dalla crisi…
    Ma se, per definizione, la crisi è un momento di cambiamento che comporta effetti nel tempo più o meno duraturi, dalla crisi siamo già usciti da un bel po’ di anni e ora stiamo semplicemente vivendo gli effetti di quel cambiamento, i quali stanno, più o meno rapidamente, portando ad un nuovo ordine sociale ed economico…
    Mi sembra, quindi, tutto inserito in un contesto illusorio e vaneggiante in cui si spera che tutto torni come prima, non riuscendo a concepire che nulla sarà come prima e che ci si dovrebbe, invece, preparare ad affrontare le sfide economiche, sociali e culturali di un futuro che non solo sarà diverso dal passato che lo ha prodotto ma, probabilmente, sarà diverso anche dal futuro che era stato sperato e immaginato…
    Ma, ciecamente e ottusamente, non si pensa che la Cultura possa essere una via maestra a questo cambiamento e la scuola viene utilizzata come il trampolino di lancio verso un mondo del lavoro che non esiste più come ce lo immaginavamo e non riusciamo ancora a immaginare bene come potrà essere… E anche se alcuni settori sembrano in ripresa e la richiesta di nuovi diplomati non riesce a essere soddisfatta (penso, per esempio, al settore meccanico e meccatronico) non ci chiediamo affatto se quanto sta avvenendo sia strutturale o semplicemente un assestamento di un sistema che sta cercando un nuovo e forse non meno precario equilibrio…
    Perchè tanta miopia e perchè tanta ostinazione? Non ho una risposta gratificante…
    Scarsa cultura generale ed elevato tecnicismo particolare “automatizzano” gli esseri umani e li rendono più facilmente gestibili e controllabili, non solo all’interno del mercato del lavoro ma nel più ampio ambito sociale…
    Purtroppo, per le scuole, afflitte da una cronica mancanza di risorse e dalla precarietà di personale docente e non, l’alternanza scuola-lavoro si configura come un altro obbligo formale da rispettare per soddisfare i parametri di marketing e di valutazione che le mettono in competizione con le loro concorrenti sul territorio… Tutto diventa burocratico, formale e rendicontato, ponendo il più delle volte in secondo piano l’aspetto umano e didattico delle attività proposte…
    Sai benissimo come intendo e applico la formazione tecnica e scientifica all’interno delle mie classi… Sono davvero molto lontano dal pensare di essere un “facilitatore” aziendale… E non penso di essere il solo a pensarla così… Certo, vivo con un certo disagio essere inserito in un sistema scolastico che non valorizza la cultura e la conoscenza e mi rendo conto che occorre in qualche modo resistere… Mi sento però anche un po’ disarmato… Mi sembra di vivere in una sorta di inversione di valori, spaventosa ma accattivante, andando contro la quale puoi incontrare l’adesione al pensiero di molti, ma l’impegno nell’azione di pochi e, sovente, mi sento un po’ alieno…
    A presto.

    Alessandro

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