La sostanza del piano americano di 28 punti per la pace in Ucraina non riguarda le regioni annesse, non verte sulle concessioni di qualche chilometro di territorio rispetto alla linea del fronte. Non attiene alla tutela delle minoranze russofone nel paese. Non ha nemmeno più a che fare con le aree di influanza delle “grandi” potenze. Quel piano di pace è un accordo economico (dal quale sembra esclusa l’Europa guidata da inetti nazionalisti) che garantisce il conflitto militare permanente, l’aumento della produzione e la vendita di armi, gli investimenti per la ricostruzione, il controllo delle economie indebolite attraverso il debito contratto. Un grande affare non degli Stati nazionali ma per i grandi gruppi economici dell’energia, delle infrastrutture, delle armi
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La sostanza del piano americano di 28 punti per la pace in Ucraina non riguarda le regioni annesse, non verte sulle concessioni di qualche chilometro di territorio rispetto alla linea del fronte. Non attiene alla tutela delle minoranze russofone nel paese. Lasciamo stare le variopinte cartine geografiche del risiko con cui i geopolitici di grido ci assillano da anni. La sostanza del piano americano di 28 punti per la pace in Ucraina non riguarda le regioni annesse, non verte sulle concessioni di qualche chilometro di territorio rispetto alla linea del fronte. Non attiene alla tutela delle minoranze russofone nel paese. Per capire i veri snodi della trattativa, come sempre, dobbiamo occuparci di sterco del demonio. Dobbiamo seguire il denaro.
Il primo punto essenziale riguarda gli investimenti per la ricostruzione della martoriata terra di mezzo. Gli americani propongono ai russi una joint venture. I capitali russi congelati saranno impiegati per la ricostruzione del paese. Ma, diversamente da quel che gli oppositori di Mosca speravano, non si tratterà di riparazioni a fondo perduto. Al contrario, saranno veri investimenti, che poi esigeranno cospicui profitti, da ripartire principalmente tra i sodali di Trump e gli oligarchi di Putin. Certo, la proposta prevede anche la partecipazione degli europei con altri 100 miliardi ma, per come l’accordo è congegnato, il ruolo dell’Ue sembra quello tipico del junior partner. Che viene ammesso al banchetto ma può mangiare solo dopo che i senior abbiano terminato il loro pasto.
Da questo punto di vista, l’ammissione dell’Ucraina nell’Ue diventa un successo effimero. Coi capitali russi ben piantati in territorio ucraino, non sarà più possibile estrometterli dagli affari. Cade così il progetto di liberismo discriminante della famigerata «zona di libero scambio globale e approfondita» tra Ue e Ucraina, che puntava a tagliar fuori la Russia, e su cui i padroni europei avevano pervicacemente insistito sin dal 2007. Al punto da appoggiare la rivolta contro l’ex presidente ucraino Yanukovych, colpevole di ricercare un punto di mediazione finanziaria tra Bruxelles e Mosca. Ebbene, la mediazione alla fine è giunta, ma è tra Mosca e Washington. Possiamo considerarla la più cocente sconfitta per l’imperialismo europeo della prima ora, quello da cui tutte le tensioni dell’area sono partite.
Resta da capire in che modo l’Ucraina distrutta potrà assicurare guadagni agli investitori esteri. Nessuno osa ammetterlo apertamente ma il paese è tecnicamente fallito, le possibilità di rimborso dei debiti sono ridotte ai minimi termini. Anche sotto questo aspetto chi rischia più di tutti è l’Ue, già da tempo prima creditrice del paese. Non è un caso che americani e russi puntino, in primo luogo, all’accaparramento delle uniche fonti di reddito sicure: minerali, materie prime, energia. Al contrario, gli europei potrebbero alla fine ritrovarsi con titoli di credito ridotti a carta straccia.
Ma lo snodo decisivo della proposta americana non riguarda affatto l’Ucraina. Al punto 13 della bozza si legge che «la Russia sarà reintegrata nell’economia globale», che «gli Stati uniti stipuleranno un accordo di cooperazione economica a lungo termine con la Russia per lo sviluppo reciproco nei settori dell’energia, delle risorse naturali, delle infrastrutture, dell’intelligenza artificiale, dei data center, dei progetti di estrazione di metalli delle terre rare nell’Artico e di altre opportunità reciprocamente vantaggiose». Ed infine, quale perfetto coronamento della tregua capitalista, «la Russia sarà invitata a rientrare nel G8».
Altro che Ucraina, dunque. Finalmente viene squadernato il tema su cui Putin e i suoi hanno sempre insistito. L’America, pur debitrice verso il mondo, deve riaprire le vie commerciali e finanziarie con i cosiddetti «non amici». Con la Russia, in primo luogo, ma forse anche con la Cina, che da tempo sostiene che il protezionismo discriminante americano è causa delle attuali tensioni militari nel mondo. Tesi parziale, visto che il protezionismo odierno è figlio degli enormi squilibri provocati dal liberismo del passato. Ciò nonostante, questa idea potrebbe uscire rafforzata dalle trattative.
Sia come sia, diventa chiaro un fatto sfuggito a molti: come tutti i massacri di questi anni, anche quello in Ucraina è uno scontro locale su una disputa globale. Sulla contesa per l’ordine economico mondiale del futuro
il manifesto, 22 novembre 2025.
