L’ordine si ottiene solo con la repressione. Questa è l’ideologia delle democrazie autoritarie. In Italia si preferisce inventare reati inutili per non affrontare e risolvere il problema abitativo giunto al limite di guardia. Un articolo de il manifesto ne chiarisce bene il percorso
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C’è un filo, nemmeno tanto sottile, che collega il decreto sicurezza 2025, la crisi abitativa (endemica, ma improvvisamente balzata agli onori delle cronache) e le nuove norme sugli sfratti che il Governo avrebbe intenzione di varare con decreto-legge. All’inizio dell’anno il decreto sicurezza ha inserito nel codice penale il nuovo delitto di “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui” (articolo 634-bis), punito con la reclusione da due a sette anni. Una disposizione per molti aspetti inutile (perché introdursi nell’abitazione altrui costituiva già reato, sotto forma di violazione di domicilio o di occupazione di edifici), ma non del tutto priva di effetti pratici: il nuovo reato, infatti, prevede pene più severe e inoltre si applica non solo a chi materialmente “occupa” un immobile, bensì anche a chiunque “si intromette o coopera” nell’occupazione. Si tratta di un’estensione finalizzata a colpire coloro che, per spirito di solidarietà, compiono atti di disobbedienza civile, spesso indirizzati verso locali sfitti o abbandonati, a beneficio di chi è privo di un’abitazione. Allo stesso tempo, è stata introdotta nel codice di procedura penale una procedura accelerata di sgombero (articolo 321-bis), che consente al giudice di reintegrare il denunciante nel possesso dell’immobile occupato ancora prima della sentenza definitiva. Laddove poi il denunciante riesca a dimostrare, anche sulla base di prove sommarie, che l’immobile rappresenta la sua “unica abitazione effettiva”, il reintegro può essere eseguito direttamente dalla forza pubblica, con convalida del giudice solo successiva. Come era ampiamente prevedibile, questa disciplina non solo non ha minimamente risolto problemi abitativi sistemici, ma ha finito per esacerbare il conflitto che inevitabilmente generano le questioni sociali troppo a lungo trascurate. Le immagini degli sgomberi violenti eseguiti nella periferia di Bologna a fine ottobre sembrano dunque solo l’inizio di una nuova stagione di criminalizzazione della povertà e di chi tenta di opporvisi.
Anziché tentare una marcia indietro, ad esempio potenziando le risorse destinate al Piano casa, il Governo sembrerebbe determinato a insistere pervicacemente lungo la imboccata direttrice repressiva. In questi giorni, infatti, le agenzie preannunciano un decreto-legge che, recependo in via d’urgenza i contenuti di due disegni di legge (uno schema già visto, guarda caso, proprio in occasione del decreto sicurezza) dovrebbe da un lato introdurre procedure (ulteriormente) accelerate di sfratto per morosità, esecutive dopo due mesi di mancato pagamento del canone, e dall’altro lato affidarne la competenza non più a un giudice bensì a un’autorità dedicata. Oltre a destare preoccupazione per il destino degli inquilini che si trovano in condizioni di indigenza, o di momentanea difficoltà economica, ai quali finora lo Stato non ha saputo offrire soluzioni abitative dignitose, le nuove disposizioni (così come quelle già dettate dal decreto sicurezza) sollevano seri dubbi sul piano della legittimità costituzionale.
Anzitutto perché la Costituzione, pur tutelando la proprietà privata, riconosce che la stessa può essere limitata “allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” (articolo 42). In secondo luogo perché la stessa Costituzione afferma l’inviolabilità del domicilio e lo circonda delle stesse tutele previste per la libertà personale, della quale in effetti il domicilio rappresenta una proiezione nello spazio (art. 13 e 14): il che significa che l’intervento della forza pubblica deve essere autorizzato o quanto meno convalidato da un giudice, non da altre autorità. In terzo luogo, perché la Costituzione vincola il legislatore italiano al rispetto degli obblighi internazionali, tra i quali figura la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’articolo 8 tutela il diritto alla casa in ogni sua forma, prevedendo – questo il punto – garanzie applicabili anche a fronte di occupazioni formalmente illegittime. La Corte europea ha già avuto modo di condannare gli Stati in ragione dell’iniquità delle procedure di sfratto e dell’assenza di valutazioni caso per caso che tenessero conto di tutte le particolari esigenze in gioco (sentenze Connors 2008 e Cosic 2009).
Spetterà allora alla Consulta, rispetto alle nuove norme se verranno alla luce, e in ogni caso rispetto a quelle già esistenti, ripristinare lo smarrito equilibrio tra proprietà privata, diritti inviolabili e doveri di solidarietà sociale. Nel frattempo, per quanto riguarda i processi che verranno avviati per il reato di occupazione abusiva, la speranza è che la Corte di cassazione continui a riconoscere la causa di giustificazione dello stato di necessità, quanto meno, come ha fatto finora, a beneficio di coloro che occupano allo scopo di scongiurare pericoli gravi per se stessi e i propri famigliari.
* Professore associato di diritto penale, Università Statale Milano
