La rivolta della Generazione Z in Africa (e nel mondo) …di Andrea Spinelli Barrile

Laddove, per anni, il capitalismo ha fatto esplodere l’e-commerce e le piattaforme digitali, le startup innovative e la crescente classe di nuovi consumatori, le mega-infrastrutture e la classe media, la politica non è stata capace, o non ha voluto, ascoltare la voce di una generazione. «Gli stadi ci sono, ma gli ospedali?» urlano da giorni i giovani marocchini mentre la polizia li trascina via. Sono 409 gli arrestati, secondo il ministero dell’Interno, «sì ma solo qui a Rabat» dice Rashid al telefono con il manifesto: a Lqliaa invece, vicino ad Agadir, i morti della GenZ sono stati almeno due: «Stavano assaltando un commissariato per liberare i loro compagni» e sono i primi morti da quando, sabato scorso, la protesta è esplosa in tutto il Regno africano.

A Nairobi, in Kenya, i giovani attivisti sono attaccati ai loro feed di TikTok: «È pazzesco». La voce di Faith, 22 anni nata e cresciuta in un quartiere popolare della capitale keniana, trema quasi dall’emozione: «Non posso credere che siamo stati noi a dare il via a tutto questo» racconta al manifesto, ricordando quasi incredula l’estate dell’anno scorso. «Forse è arrivato davvero il momento giusto» perché le proteste della GenZ africana hanno molti tratti in comune: nascono da un sopruso o da una violenza, come l’arresto del 19 settembre di due politici malgasci nella capitale del Madagascar o come la morte, meno di un mese fa, di una partoriente all’ospedale di Agadir, l’ennesima morta di parto dall’inizio dell’anno nel Paese che ospiterà i Mondiali di Calcio 2030.

Crescono, montano e si auto-organizzano su TikTok, si autoalimentano con gli arresti e i morti per strada, cercano di prendere il bavero del potere per scuoterlo, per farsi sentire. I grandi investimenti come gli stadi, le arterie stradali, gli alberghi di lusso strapieni di turisti sono messi alla berlina: dove sono le fognature? Dove gli autobus, dove gli ospedali, dove le nuove scuole? E perché le tasse continuano a crescere ma la luce continua a mancare? «Adesso ci danno da bere grazie ai dissalatori – si lamenta Rashid, che fa il tassista a Rabat – ma quell’acqua costa un sacco e fa schifo». Sono piccoli tasselli, esigenze personali che diventano protesta sociale: ad Antananarivo, il fatiscente campus universitario è stato eretto a simbolo della miseria dei giovani. A Rabat, sono gli ospedali. A Nairobi è la grande «superstrada cinese» che in pochi possono permettersi di percorrere.

In Marocco, la GenZ è protagonista da sabato delle dimostrazioni di piazza più grandi dalle primavere arabe. La stessa generazione, in Madagascar, resiste da oltre dieci giorni, riuscendo ad aggregare sindacati e altri gruppi della società civile, costringendo a licenziare un governo e mettendo a serio rischio la tenuta del presidente Rajoleina, uno che ambisce a diventare un dinosauro. La GenZ, da due anni, manifesta quotidianamente in Kenya e Uganda chiedendo politiche sociali e ricevendo pallottole, sparizioni forzate, torture e deportazioni.

Quando si parla di Generazione Z in continenti come l’Africa, ma anche in Asia con le proteste in Indonesia, Nepal e Filippine, si parla di un numero enorme di persone. È la generazione più numerosa e fa del continente la regione più giovane del mondo: sono 428 milioni i GenZ africani, oltre il 32% dell’intera popolazione, milioni di individui che influenzano i mercati dei consumi ma anche la narrazione dell’Africa vista da fuori, grazie al loro impegno e ai social media. Oggi vogliono influenzare anche la politica interna, un’onda che sembra inarrestabile e capace di attirare consensi. Di fare politica.

il manifesto, 4 ottobre 2025

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