La salute mentale in carcere …di Katia Poneti, Riccardo Girolimetto

Parlare di salute mentale in carcere è parlare di un ossimoro, tanto è inconciliabile la detenzione con il benessere fisico e mentale. Come funziona il sistema sanitario in carcere per la prevenzione nel campo della salute mentale e per la presa in carico delle patologie psichiatriche? È garantito il diritto dei malati più gravi ad essere curati – di regola – fuori dal carcere? A questi interrogativi ha provato a rispondere la ricerca “Salute mentale in carcere dopo la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari” realizzata dalla Società della Ragione in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana, grazie al finanziamento dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese.

Attraverso preliminari seminari con stakeholders locali, sopralluoghi negli istituti penitenziari coinvolti (Udine, Prato, Rebibbia femminile), raccolta di dati quantitativi e interviste in profondità con figure sanitarie e non, la ricerca ha messo a fuoco le contraddizioni prodotte dall’ossimoro carcere-salute. Tra le tematiche approfondite vi sono i fattori di protezione e tutela della salute mentale all’interno del carcere, il peso delle condizioni strutturali, la relatività dei percorsi di uscita dal carcere, le diverse funzioni che assume il corpo della persona detenuta in un contesto di assoggettamento, i vissuti di operatori/trici della salute.

L’“emergenza psichiatrica” in carcere è percepita come maggiore di quanto non indichino i dati quantitativi raccolti. Inoltre, ne è risultata confermata la tendenza al prevalere delle logiche custodiali e securitarie su quelle terapeutiche e riabilitative, condizionando forma ed efficacia degli interventi “Psy” (psicoterapici, di sostegno e psicofarmacologici), inevitabilmente ridotti a rendere “più tollerabile” la vita detentiva, e depotenziando il paradigma riabilitativo-territoriale, Il carcere tende ad esacerbare le diseguaglianze sociali già esistenti, incidendo in maniera differente sulle persone detenute, in specie per coloro che hanno una storia di migrazione alle spalle. Al tempo stesso il territorio non accoglie come dovrebbe, pronto a dichiararsi non competente quando non vi sono documenti e residenza.
Uno specifico nodo critico riguarda l’applicazione dell’incompatibilità con il carcere per motivi di salute mentale che, pur prevista dalla giurisprudenza costituzionale (C. Cost. n. 99/2019), risulta scarsamente attuata. Dalla ricerca si evince una ridotta conoscenza della possibilità di scontare la pena in una struttura psichiatrica all’esterno del carcere e la percezione che tale percorso riguardi casi rarissimi, in concomitanza con altre problematiche sanitarie. Sul punto si suggerisce di trasporre la norma stabilita dalla sentenza Corte Cost. 99/2019 in una norma di legge formale, che potrebbe integrare l’Ordinamento penitenziario.
Questo in controtendenza rispetto al Piano di azione nazionale per la salute mentale 2025-2030 che vorrebbe ampliare la capienza delle ATSM, le sezioni psichiatriche interne alle carceri, portandola a 3000 posti. In maniera diffusa e condivisa, la carenza di risorse (finanziarie e organico) è risultata centrale.
Complessivamente si segnala l’urgenza di un ripensamento radicale delle politiche e delle pratiche di tutela della salute mentale in carcere, capace di superare le contraddizioni tra funzione detentiva e funzione terapeutica, e di garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali delle persone con problematiche legate alla salute mentale (e non).

Il report della ricerca è disponibile su: societadellaragione.it/salutementale, insieme alla presentazione on line di ieri. Potete anche ascoltare il podcast Fratture, che racconta il progetto sulla salute mentale in carcere. Le prossime presentazioni si svolgeranno il 28 ottobre a Firenze, presso il Consiglio regionale della Toscana e il 13 novembre a Udine.

Katia Poneti, Riccardo Girolimetto, il manifesto, 1 ottobre 2025

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