Un sondaggio di Ilvo Diamanti aggiunge pepe alla questione del Ponte sullo Stretto, c’è una discreta ostilità nei confronti del progetto: 7 elettori su 10 sarebbero in disaccordo. Nel frattempo, i pareri, spesso autorevoli e argomentati, pro e contro si accumulano.
Secondo i critici il progetto non tiene conto a sufficienza della grave sismicità dell’area. I costi sono inoltre eccessivi e mal calcolati. Il progetto è vecchio di tecnicamente inadeguato, sono fumosi i benefici economici promessi, mentre la condizione catastrofica delle infrastrutture viarie, ferroviarie, idriche, sanitarie… di Calabria e Sicilia suggerirebbe altre priorità. Lo stesso vagheggiato impatto su Pil e occupazione sarebbe magari maggiore ove si privilegiassero le suddette infrastrutture.
I favorevoli rovesciano puntualmente questi argomenti. Da ultimo, Carlo Trigilia, che pure avanza molte cautele, invita a pensare il Ponte come un’opportunità per risanare e ridisegnare tutto il sistema delle infrastrutture di Calabria e Sicilia. Ce ne sarebbe di che animare un vivace e appassionato dibattito in funzione di una scelta collettiva approfonditamente meditata e largamente condivisa. Se non che, nella tristissima parabola discendente del nostro regime democratico anche la questione del Ponte si è ricavata il suo posticino.
Anzitutto per l’iter a dir poco anomalo seguito dal processo decisionale. Divenuto bandiera dal ministro delle infrastrutture all’indomani delle elezioni, spigolando sulla stampa (e tralasciando dettagli non proprio secondari) si registrano alcuni fatti singolari:
1) il decreto cosiddetto «salva Ponte», convertito nella legge numero 58/2023, oltre a resuscitare la concessionaria Stretto di Messina spa, ha addirittura riesumato l’appalto vinto vent’anni or sono dalla Società Eurolink, al contempo premurandosi di cancellare alcuni dei passaggi procedurali richiesti;
2) il Ponte è stato dichiarato dal Consiglio dei ministri un’opera di «interesse imperativo di rilevante interesse pubblico» (sic!), onde accelerare l’iter autorizzativo e ridurre le possibilità di opposizione formale;
3) è stata elusa la normale procedura di Valutazione d’impatto ambientale;
4) l’approvazione da parte del Cipess è stata dichiarata sostitutiva di «ogni altra autorizzazione, approvazione e parere», inclusi quelli di organi tecnici come il Consiglio superiore dei lavori pubblici;
5) il profilo dei comitati di consulenza che affiancano il Cipess è stato alterato, riducendo al minimo la componente tecnica, costituita da ingegneri o esperti di infrastrutture;
6) a dispetto del ridicolo, in un documento trasmesso a Bruxelles il Ponte è presentato come un’opera «prioritaria e di rilevanza strategica» per la mobilità militare e per la Nato.
La sequenza di forzature fa impressione. La forzatura delle forzature è l’assoluto spregio verso le popolazioni interessate.
L’opera è colossale. I lavori sconvolgeranno la vivibilità delle due sponde, se va bene, per sette anni dal loro inizio, interferendo con la quotidianità di un’area già problematica. Le stime minimaliste del governo prevedono di reinsediare 1.500 famiglie o di spostare le loro attività. Il governo non li ha interpellati, né ha fatto una piega di fronte alla mobilitazione che ne è seguita. Anzi: onde scongiurare l’effetto Val di Susa, alcune norme del famigerato decreto «Sicurezza», poi convertito in legge, sono palesemente finalizzate a scoraggiare e reprimere ogni protesta.
Insomma, con spregiudicata arroganza la maggioranza ha compiuto un colpo di mano autoritario: vuol imporre e nascondere. La democrazia dei contemporanei vorrebbe essere invece governo tramite il consenso. Il principio di maggioranza non è mai stato tutto: sennò, si usa dire, diventa populismo. In più i tempi cambiano, le società sono più complesse, i cittadini più istruiti e esigenti.
C’è motivo di pensare che il mero principio di maggioranza sia oggidì superato. Sappiamo che le istituzioni democratiche perdono fiducia e rispetto quando sono inefficienti e corrotte, ma anche quando non ascoltano i cittadini, ne trascurano le esigenze, non spiegano in trasparenza il proprio operato. Il Ponte è uno scalpo brutalmente strappato adottando l’interpretazione perversa per cui «chi vince prende tutto». Pure in assenza di una maggioranza elettorale reale, o se quest’ultima è minima. Accade oltre oceano, dove il vincitore assume decisioni devastanti con l’1,5 percento in più di voto popolare. Non è un caso unico. L’approvazione della costruzione del Ponte è un’altra replica, neanche tanto in piccolo, di questa involuzione.
Ma è davvero possibile che questo ennesimo sfregio democratico non tocchi la sensibilità anche di chi è in buona fede favorevole? Che nessuno però si stupisca se gli elettori delusi entrano in sciopero a tutto vantaggio di quelle forze politiche che della democrazia si fanno beffe.
Alfio Mastropaolo, il manifesto, 21 agosto 2025