La rabbia non basta …di Lea Melandri

Cosa sta succedendo ai giovani uomini? Siamo di fronte a un profondo analfabetismo affettivo? Chi se ne occupa? Perché il richiamo all’”educazione dei sentimenti” non è sufficiente? Domande oltre l’insopportabile e illusoria idea di prevenire e scoraggiare i femminicidi aumentando le pene. Lea Melandri ci dice che anche l’educazione non è neutra e che porta con sé “il segno delle costruzioni di genere”

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Di fronte a un fenomeno quotidiano e allarmante come i femminicidi, soprattutto quando l’età dell’aggressore e della vittima si abbassano, non mi meraviglia l’indignazione e la rabbia che, soprattutto sui social, fanno seguito. Mi meraviglia invece che si possa pensare di prevenirli, scoraggiarli, aumentando le pene fino all’ergastolo.

L’abbassamento dell’età, della vittima e dell’aggressore non può non interrogarci innanzi tutto su che cosa sta succedendo a giovani uomini, che cosa può spingere un abbandono, un rifiuto, la fine di una relazione quando si è ancora poco più che adolescenti, a un’azione così feroce di annientamento dell’altra.

Al di là delle tante ragioni sociali, che sicuramente incidono – ambiente degradato, clima di guerra, predominio del più forte, ecc. -, non c’è dubbio che il peso maggiore viene dal cambiamento del rapporto tra i sessi. Le donne, già dall’adolescenza, sono oggi più consapevoli di quella che è stata storicamente la loro condizione, più decise nell’affermare la loro libertà. Il femminismo degli anni Settanta ha fatto fare un salto della coscienza storica e, se anche non ha cancellato la cultura patriarcale, il sessismo dominante, lo ha tolto dalla “naturalità” con cui è arrivato fino a noi.

È di fronte a questa novità, imprevista, inaspettata, che scatta la reazione vendicativa di chi ha creduto, più o meno inconsapevolmente, di poter contare su corpi femminili, erotici e materni, obbedienti, sottomessi, attenti, come scriveva già Jean-Jacques Rousseau, a “rendere loro buona la vita”.

L’ambiguità di un dominio particolare come quello maschile, intrecciato e confuso con le vicende più intime, viene oggi allo scoperto, e se è l’odio contro il femminile a prevalere, non è solo per un “possesso” che l’uomo si vede sfuggire, ma per la scoperta di una fragilità e dipendenza coperte finora dall’esistenza di corpi sociali rassicuranti riguardo a un privilegio millenario di superiorità “naturale”, intoccabile.

È già accaduto, all’inizio del Novecento, che la comparsa dei movimenti femminili e femministi di emancipazione delle donne risvegliasse, insieme alla misoginia, la virilità guerriera che ha portato a due guerre mondiali e al nazifascismo.

Dietro a quello che viene superficialmente definito “bullismo”, come sanno le donne che oggi insegnano, ci sono sessismo e razzismo, pregiudizi antichi e precoci per la storia millenaria che li ha trasmessi quasi inalterati. E c’è l’analfabetismo affettivo che ha la sua radice negli interrogativi che si pongono, spesso dolorosamente, nell’adolescenza per quanto riguarda il corpo e le passioni che lo attraversano, e cui nessuno risponde. Non la famiglia, che in qualche modo li crea, né la scuola, dove restano il “sottobanco”, il “fuori tema”.

Nei tanti articoli e dibattiti che hanno fatto seguito al femminicidio di Martina Carbonaro, il richiamo all’”educazione dei sentimenti” di cui dovrebbe farsi carico la scuola, è ricorrente. Ma poco o niente si dice che l’educazione non è neutra, che sentimenti, sogni, emozioni, pulsioni, portano il segno delle costruzioni di genere, del diverso “destino” assegnato a un sesso e all’altro. Ancora meno si dice che chi, all’interno della scuola, prova ad affrontare la violenza maschile da questo punto di vista, viene osteggiato e ostacolato, a partire da decreti ministeriali repressivi, volti alla restaurazione di quegli stessi “valori” tradizionali che hanno garantito la durata storica della cultura patriarcale.

Lea Melandri, Comune, 30 maggio 2025

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