Care colleghe/i,
come già avvenuto lo scorso anno, a breve, l’associazione AssOrienta incontrerà alcune classi quinte per presentare le “Carriere in Divisa”, con il dichiarato intento di informare gli studenti sulle opportunità professionali e di studio nel settore militare.
Ci domandiamo se questa pratica sia eticamente e pedagogicamente compatibile con gli orizzonti educativi della nostra scuola e se sia stata adeguatamente discussa nelle sedi collegiali.
Nel novembre 2024, il Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore, si è guadagnato i titoli dei giornali dichiarando che “l’esercito è fatto per prepararsi alla guerra“. In seguito ha aggiunto che è urgente reclutare almeno 45.000 unità per costituire la riserva di truppe in caso di conflitto. Queste dichiarazioni, nella loro onestà, ci possono lasciare indifferenti? Crediamo di no.
Il nostro ruolo di insegnanti dovrebbe essere quello di preparare i nostri studenti alla pace, non alla guerra. Per questo ci chiediamo se sia opportuno dare spazio – quello spazio che invece non concediamo a tante altre proposte orientative – proprio a chi promuove la carriera militare come una scelta di vita.
Sembra banale ricordarlo, ma se la guerra è un mezzo “ripudiato” – e il verbo non fu scelto casualmente – nel dettato della Carta Costituzionale, ha senso normalizzarne la preparazione come prospettiva di vita per i nostri studenti?
Già nel 1965 Don Lorenzo Milani, nella sua Lettera ai cappellani militari, ci ricordava che l’educazione deve formare cittadini capaci di pensare autonomamente, di interrogarsi sulla giustizia delle proprie azioni e sulle conseguenze delle proprie scelte, anziché semplicemente obbedire a un’autorità senza discutere.
A chi obiettasse che, non invitando queste associazioni, limitiamo la libertà di scelta degli allievi, rispondiamo che la scuola non è un mercato di opportunità neutrali. Ogni scelta educativa è un’affermazione di valori: la scuola non promuove ogni possibilità esistente, ma seleziona quelle che ritiene compatibili con il suo intento formativo. Proprio per questo, noi vorremmo fornire strumenti critici e non normalizzare la guerra come una carriera qualsiasi. A chi sostenesse che l’esercito rappresenta una possibilità per chi non può permettersi studi costosi, rispondiamo che questa non è una giustificazione sufficiente. Se il problema è l’accesso allo studio, la soluzione non è la militarizzazione delle opportunità, ma un sistema educativo più equo, che garantisca a tutti il diritto di formarsi senza dover accettare la guerra come prezzo da pagare.
Non si tratta di demonizzare chi sceglie la carriera militare, ma di chiederci se il nostro compito sia quello di presentarla come un’opzione formativa alla pari di altre, senza mettere in discussione i suoi presupposti etici e politici.
Una generazione di insegnanti che ci ha preceduto – e che della guerra conservava, se non il ricordo diretto, per lo meno la testimonianza di prima mano – era solita assegnare in lettura alle classi “Niente di nuovo sul fronte Occidentale”, la preziosa testimonianza di Erich Maria Remarque sull’assurdità della guerra. Nelle pagine iniziali del libro spicca la figura del professor Kantorek, che accompagna i suoi studenti all’arruolamento al distretto militare. “Di Kantorek ve n’erano migliaia, – scrive Remarque – convinti tutti di far per il meglio nel modo ad essi più comodo. Ma qui appunto sta il loro fallimento.”
Chiediamoci se, come insegnanti, preferiamo ispirarci a Kantorek o a Don Milani. Con rispetto e apertura al dialogo,
Docenti che non si rassegnano
Santorre di Santarosa, Torino