Uscire dalla retorica meloniana è indispensavile per capire cosa succede davvero nel mercato del lavoro e nell’economia italiani. Tonino Perna ci aiuta con una rigorosa analisi apparsa sul il manifesto
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L’incremento dell’occupazione dipendente negli ultimi tempi è uno dei cavalli di battaglia del governo Meloni, il dato più sbandierato come indicatore del buon governo della destra. In effetti, aumentano nel terzo trimestre 2024 gli occupati di 121.000 unità e si riduce il tasso di disoccupazione al 5,8 per cento. E non si tratta di un dato congiunturale. Nel periodo 2019-2023 abbiamo registrato un incremento di 660mila unità e un aumento del Pil del 4,2 per cento. Contemporaneamente è continuato l’andamento negativo della produzione industriale: a fine settembre 2024, su base annua, si è avuta una netta caduta del 4 per cento.
Non a caso l’incremento occupazionale ha riguardato quasi esclusivamente l’edilizia (+36 per cento di valore aggiunto e +15 per cento di occupati) e ancor di più il terziario privato con un incremento di 320 unità. Emerge plasticamente questo quadro dall’indagine dell’istituto tedesco “Qualità e Finanza” che pubblica una classifica delle ottocento migliori imprese italiane per fatturato e occupazione, nel periodo 2019-23. Bene, tra le prime trenta imprese ne abbiamo undici nell’edilizia, sei nel turismo e cinque nell’energia e altre nel terziario: non c’è una sola impresa dell’industria manifatturiera.
Se prendiamo in considerazione le prime 150 migliori imprese italiane abbiamo che ben 51 sono imprese edili, seguono a ruota imprese nel settore dell’energia e del turismo, e solo qualche impresa industriale nel settore moda e IT. Il risultato di questo trend è che ci stiamo deindustrializzando progressivamente, e non soltanto nel settore dell’automobile, con una creazione di nuovi lavori nell’edilizia e nel terziario, soprattutto tradizionale, che comporta una maggiore precarietà e salari più bassi. In particolare, va considerato il fatto che il boom del settore edile dopo il 2019 è dovuto in primis al superbonus (il famoso 110 per cento), fumo negli occhi di questo governo a cui dovrebbe almeno riconoscere il rilevante incremento occupazionale. In secondo luogo al Pnrr, alle cui risorse finanziarie gli enti locali stanno attingendo per lavori di rifacimento di piazze, marciapiedi, ecc.
Ma, entrambi questi fattori verranno meno nei prossimi anni ed assisteremo inevitabilmente ad un crollo dell’occupazione nell’edilizia, che unitamente al continuo calo occupazionale nel settore industriale determinerà una caduta della domanda, di cui ne risentirà direttamente il terziario tradizionale, il settore “spugna” dell’occupazione precaria e sottopagata.
Certamente non è un fenomeno unicamente italiano, ed era stato previsto da un prestigioso economista inglese del secolo scorso a cui si deve quella che viene per l’appunto chiamata la “legge di Colin Clark”, che traccia delle curve di lungo periodo che segnano il passaggio dell’occupazione e del valore aggiunto dall’agricoltura all’industria, e da questa al terziario. Oggi, bisognerebbe aggiungere il “quaternario”, ovvero il settore della finanza, del denaro che produce denaro, e che nel Regno Unito rappresenta oltre il 15 per cento del Pil e negli Usa arriva al 20 per cento.
Questo passaggio da un settore prevalente ad un altro non è automatico, né avviene in tutti i paesi allo stesso modo. Per esempio, molti paesi del Sud del mondo, spesso i più impoveriti, esportano quasi esclusivamente materie prime o beni agricoli e importano beni manufatti, finendo nella morsa storica dello “scambio ineguale” , nella forbice dei prezzi a vantaggio dell’industria manifatturiera. Ma, se l’esportazione di beni agricoli e materie prime la fa l’Australia rompe questo rapporto ineguale perché ha una organizzazione che riesce a strappare un maggiore valore aggiunto per i suoi prodotti. O possiamo fare un esempio in casa nostra: le mele del trentino offrono un reddito significativo al settore agricolo regionale, mentre non si può dire lo stesso per le arance della piana di Gioia Tauro.
È come un Paese si colloca nelle catene del valore, nelle filiere produttive e finanziarie, che determina il benessere economico. Ma, questo obiettivo richiede un governo capace di pensare ad una politica industriale all’altezza dei mutamenti accelerati a cui stiamo assistendo. Il modello di sviluppo italiano si è fondato, come giustamente aveva sostenuto Augusto Graziani fin dagli anni ’70, sui bassi salari che favorivano l’esportazione in settori tradizionali dell’industria manifatturiera. In alcuni settori dell’industria leggera abbiamo fatto un salto di qualità spingendo la produzione verso la gamma alta, quella del lusso, ma non possiamo pensare che la politica dei “bassi salari” possa continuare a mantenere il modello “export oriented”. È necessario pensare ad una crescita della domanda interna che compensi le restrizioni nel commercio internazionale (dal neo-protezionismo di Trump alle sanzioni alla Russia) , e questo può avvenire essenzialmente aumentando i salari.
il manifesto, 17/12/2024