Il dissenso costa …di Wu Ming

Tra aprile e luglio dello scorso anno, il Ministero dell’Ambiente metteva insieme le scartoffie per prorogare fino al 2029 il decreto di compatibilità ambientale del Passante di Bologna: diciotto corsie di autostrada urbana nella periferia nord del capoluogo emiliano, a circa tre chilometri dal centro città.

In quello stesso periodo, a maggio, l’Emilia-Romagna si trovava coinvolta in una drammatica alluvione, con lo straripamento di ventitré corsi d’acqua, più di 250 frane, diciassette vittime umane e danni per oltre dieci miliardi di euro.

Nel frattempo, al Tribunale Amministrativo di quella stessa Regione, pendeva il ricorso dell’associazione AMO Bologna contro il decreto favorevole al Passante (del 2018) e soprattutto contro la sua proroga, in fase di approvazione. Troppi elementi erano cambiati in cinque anni e le analisi di Autostrade per l’Italia non ne tenevano conto. Basti pensare che nel chiedere la proroga, – con una relazione di quaranta paginette, – il responsabile del procedimento, Fabio Visintin, presentava i dati sulla qualità dell’aria del 2020, l’anno del confinamento per la pandemia!
AMO Bologna, invece, aggiungeva alle sue ragioni lo studio di un climatologo del CNRFederico Fabiano, che in merito agli impatti della crisi climatica giudicava il Passante un’opera «dannosa sia nel contesto urbano che in quello nazionale, ed incompatibile con una efficace strategia di mitigazione e prevenzione dei danni a persone e cose»
Il 3 luglio 2023 il ministro dell’Ambiente concedeva la proroga ad Autostrade per l’Italia.
In quell’anno, la Regione Emilia-Romagna si piazzava al secondo posto nazionale per l’incremento del consumo di suolo (+ 815 ettari) e al primo per quello dovuto ai cantieri delle infrastrutture: 19mila ettari, con un aumento di 361 ettari, cioè più di un terzo dell’incremento complessivo.
Il 19 febbraio 2024, il TAR dell’Emilia-Romagna respingeva il ricorso di AMO Bologna e condannava l’associazione al risarcimento delle spese legali.
A ottobre, il Comune di Bologna e la Città Metropolitana bussavano alla porta dell’associazione per esigere la loro quota: oltre 36mila euro.

In quei giorni, un’altra alluvione colpiva l’Emilia-Romagna e in particolare il capoluogo, con l’esondazione dei torrenti del territorio urbano (Ravone, Àposa, Sàvena) e del canale di Reno.

Il 12 novembre, venti associazioni, collettivi e comitati hanno scritto una lettera al sindaco Lepore e alla vicesindaca Clancy per chiedere di revocare l’ingiunzione di pagamento, dato che il ricorso di AMO Bologna, benché sconfitto, era comunque approfondito e giustificato: se per partecipare alla vita politica della città, le persone devono chiedere ascolto a un giudice, chi amministra dovrebbe porsi un problema, non correre all’incasso delle spese di lite. La lettera è rimasta senza risposta, perché il comune di Bologna ha deciso da tempo come intende trattare il dissenso, quando non riesce a incanalarlo nei suoi percorsi di immaginazione civica: con il silenzio o con la repressione.

Ne sanno qualcosa le venti persone, per lo più molto giovani, che devono affrontare pesanti denunce, – e di nuovo: spese legali, – per aver difeso il parco Don Bosco dai cantieri di una nuova scuola, quando ce n’era già una, solo da ristrutturare. Il progetto alla fine è stato accantonato: non così la volontà di colpire la protesta. Prima con i manganelli, le cariche, i rami segati con la gente sopra, gli alberi abbattuti, le minacce, gli arresti. Ora con i processi, le parcelle degli avvocati, i fogli di via.

Per sostenere tutte queste persone, sono partite due raccolte fondi, con l’obiettivo di coprire le spese legali, ma soprattutto di rispondere al silenzio e alla repressione con un grande coro di voci solidali, donando anche pochi euro e preparandosi alle prossime lotte.

Qui la raccolta per AMO Bologna.

Qui la raccolta per chi ha salvato il parco Don Bosco.

Giap

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