Un libro :: Africa contesa, di Enzo Nucci

Enzo Nucci, Africa contesa. La risposta del continente all’assalto delle superpotenze, Infinito Edizioni.
Un libro che analizza le contraddizioni di un continente che cerca di reinventarsi, con la volontà di liberarsi da sudditanze, vecchie e nuove, con le proprie risorse.
Qui un utile recensione di
Francesca Giommi, apparsa su il manifesto.

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Nelle mani di quei giovani africani che Enzo Nucci nei ringraziamenti definisce «una pentola a pressione che tiene sveglio l’Occidente» risiede il futuro non solo dei loro paesi ma apparentemente di un intero continente e mondo in subbuglio, che ha visto tramontare vecchie alleanze (europee e americane), in favore di altre, nuove e variegate (tra cui Cina e Russia dapprima, India, Turchia, Brasile, Corea, Giappone, Qatar, Emirati Arabi Uniti poi), e l’insorgere di un più dinamico «multi allineamento» su scala globale, foriero di rischi ma anche di grandi opportunità.

Per Pietro Veronese, che di Africa Contesa. La risposta del continente all’assalto delle superpotenze (Infinito edizioni, pp. 104 euro 14) ha scritto la prefazione, «il cambiamento è solo all’inizio». Quello che appare mutato, rileva, è soprattutto il modo in cui il continente guarda sé stesso, pensando il proprio ruolo in un contesto mutevole e instabile.

Mentre il mar rosso ribolle (l’effetto domino innescato dal conflitto a Gaza è palpabile per le implicazioni economiche, commerciali e militari che si riverberano negli assetti geopolitici) e l’Unione africana è alla ricerca di una strategia a sostegno della governabilità, aleggia l’afflato a un ordine mondiale multipolare che non si riconosce più nell’area di influenza occidentale e mira al disallineamento.

Il testo di Nucci, limpido, sintetico ed estremamente denso e informato, svela una de-occidentalizzazione in corso che segna il tramonto della forte influenza euro-atlantica sul continente, e una folla crescente di potenze straniere che si accalca alla ricerca di nuovi mercati e minerali preziosi, mirando all’allargamento delle proprie aree di influenza in Africa, mentre il sistema democratico è sotto attacco, e arretra ormai su scala planetaria.
I Paesi africani nel loro insieme dimostrano una chiara volontà di emanciparsi dalle alleanze/sudditanze tradizionali, contando sulle proprie risorse, sfruttando al meglio questa geopolitica in evoluzione e la frantumazione degli equilibri mondiali su cui pesa «la terza guerra mondiale a pezzi», emersa con prepotenza con le crisi russo-ucraina e israelo-palestinese.

L’impetuoso sviluppo demografico, il cambiamento climatico e la disoccupazione sono le principali questioni su cui si gioca il futuro dell’Africa (con un forte impatto sul resto del pianeta), oltre alla mancata industrializzazione e la corruzione endemica, che favorisce le interferenze politiche nei sistemi giudiziari e il terrorismo islamista (facendo leva sul malcontento popolare generato dalla cancrena sociale per accogliere nuovi proseliti). Un quadro generale così variegato e contradditorio divide gli «afro-ottimisti», che credono fermamente in un continente dal luminoso avvenire in quanto nuova frontiera della geopolitica e dell’economia mondiale, dagli «afro-pessimisti», che non vedono soluzioni per conflitti, epidemie e povertà.

Se già il politico e storico burkinabé Joseph Ki-Zerbo sosteneva che «non si sviluppa un Paese, ci si sviluppa da soli», particolarmente interessante risulta l’analisi sui cambiamenti in atto illustrata da Achille Mbembe, storico e filosofo camerunense, originale esegeta del post colonialismo, sull’irruzione nello spazio pubblico delle generazioni nate negli anni 90 dello scorso secolo e all’inizio degli anni 2000, cresciute durante gravi crisi economiche e in coincidenza con il risveglio tecnologico dell’Africa.
Mbembe mette in luce la grande influenza delle diaspore, l’accelerazione dei processi di creatività artistica e culturale, l’intensificarsi di mobilità e circolazione internazionale, la ricerca incessante di modelli di sviluppo alternativi ispirati alla ricchezza delle tradizioni locali, verificando quanto già più di duemila anni fa affermava Plinio il Vecchio, che dall’Africa bisogna sempre aspettarsi qualcosa di nuovo.

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