Contro il G20, in piazza a Roma molteplici percorsi, dal corteo studentesco di venerdì 29 alla manifestazione nazionale di sabato 30, dal Climate Camp all’assemblea nazionale di convergenza del 31 ottobre. Perché non vogliamo tornare a quella normalità che era il problema.
Quale miglior collocazione, dal punto di vista evocativo, della “Nuvola” come sede del vertice del G20 di fine ottobre a Roma? Nella nuvola è impossibile vedere l’oltre e lo sguardo si autoriflette, facendo credere a coloro che vi sono immersi che il mondo si esaurisca lì. E’ cosi che i governi dei paesi più ricchi del pianeta possono ritrovarsi e discutere di “persone, pianeta, prosperità”, fingendosi parte della soluzione, mentre è chiaro a tutti che fanno parte del problema.Si vantano di rappresentare l’80% del Pil e i due terzi del commercio mondiale, ma non dimostrano nessuna vergogna sul fatto di aver creato un apartheid planetario sulle cure per la pandemia, permettendo alle multinazionali di Big Pharma, con l’intoccabilità dei brevetti, di realizzare un eccidio di massa nei paesi poveri per tenere vivo un virus che garantisca profitti enormi dalla cura nei paesi ricchi.
Parlano di crescita, ma l’unica cosa che sono riusciti ad aumentare è la produzione di gas serra, di cui detengono il 75%, rendendo drammatica la conseguente crisi climatica. Non stanno cercando di capire come uscire da una crisi sistemica, bensì come continuare ad estrarre valore finanziario da persone, territori, natura e come difendere questa accumulazione di ricchezza attraverso armi, guerre, frontiere, muri, società disciplinare. Parlano di transizione ecologica, ma pensano al greenwashing; annunciano la rivoluzione digitale ma hanno in mente sfruttamento e precarietà.
Hanno tuttavia un pregio: aver finalmente chiarito che la preservazione del modello capitalistico non ha più bisogno di alcun consenso sociale, è obbligatoria e ineluttabile. “Ripresa” per l’economia del profitto, “resilienza” per le popolazioni che devono subirla.E’ su questa polarizzazione dei ruoli che risiede la possibilità dell’insorgenza: poiché il capitalismo può sopravvivere solo se alimentato dalla rassegnazione sociale, il superamento di quest’ultima richiede un salto di qualità delle lotte, delle pratiche e delle esperienze dei movimenti sociali.
La difesa di un diritto, di un posto di lavoro, di un bene comune, di un territorio sono sacrosante e necessarie, ma drammaticamente insufficienti se continuano a realizzarsi su un piano inclinato dall’alto verso il basso.
Occorre rovesciare il piano, chiedendo ad ogni esperienza di collocarsi in una dimensione di interdipendenza con tutte le altre -nessun* si salva da sol*- e dentro l’orizzonte della sfida per un’alternativa di società, che metta la cura di sé, degli altri e delle altre, del vivente e del pianeta al centro di una nuova organizzazione della società, oltre e contro la solitudine competitiva e l’”uno su mille ce la fa” del modello capitalistico.
E’ questa la novità messa in campo da processi, percorsi ed esperienze che in questo anno e mezzo di pandemia hanno costruito il filo rosso della convergenza fra i movimenti e alimentato la mobilitazione sociale di chi rifiuta di tornare alla normalità perché era la normalità il problema. E che ha iniziato a dare frutti, producendo lotte radicali che smettono di percepirsi come solitarie e ‘disperate’ e interrogano persone, territori e società. Smettono di interpretare la parte di un copione prestabilito e rivoluzionano la scenografia.E’ così che la giovane generazione scesa in campo sulla crisi climatica è partita dall’ecologia ed è arrivata ad attaccare la finanza; è così che una vertenza operaia come quella della Gkn non è andata dalle istituzioni a chiedere ammortizzatori sociali e illusorie promesse di reindustrializzazione, ma si è rivolta alla città e al territorio, non dicendo loro “noi stiamo male”, bensì domandando “voi, come state?”.
E’ così che la profondità di concetti femministi come vulnerabilità, interdipendenza e intersezionalità hanno iniziato ad attraversare, trasformandoli, i diversi punti di osservazione sulla società.
L’insieme di questi percorsi scenderà in piazza nelle giornate del G20, con un’articolazione che ne segnala la ricchezza: dal corteo studentesco di venerdì 29 mattina, alla manifestazione nazionale di sabato 30, dal Climate Camp di quattro giornate, all’assemblea nazionale di convergenza del 31 ottobre.
Un’insieme di appuntamenti, che, per la prima volta, vedrà assieme la giovane generazione ecologista dei Fridays For Future e di Extinction Rebellion con importanti vertenze operaie e del lavoro come Gkn, Alitalia, Whirlpool; tutti i sindacati di base ma anche la Flc Cgil; tutti i movimenti sociali ma anche le esperienze del mondo contadino e dell’ agro-ecologia; le reti studentesche e gli spazi sociali; la rete Fuori dal Fossile e il movimento No tav; le esperienze femministe e il Consiglio Nazionale Indigeno dell’Ezln del Chiapas…e molto altro ancora.
Una tappa, non un punto di arrivo. Contro il G20, ma ben oltre loro e la loro insulsa vetrina. Per il diritto al conflitto sociale e alla libertà di manifestare, ma senza alcun interesse per il clima intimidatorio ancora una volta artificialmente costruito da governi e mass-media mainstream.
Ci aspetta una stagione dove molti nodi verranno al pettine, con un’oligarchia al governo che, per imporre un Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, ha ottenuto l’unanimismo parlamentare e pretende il silenziamento di ogni conflitto sociale. La attraverseremo con la lenta impazienza. L’impazienza di chi ogni giorno che nasce ha chiara la necessità di rivoluzionare lo stato di cose esistenti, la lentezza di chi sa che solo la fiducia delle radici nei fiori genera foreste rigogliose.
Vi aspettiamo in piazza in questo week end di fine di ottobre. Speriamo di ritrovarvi ogni giorno successivo.
Marco Bersani, Dinamopress, 28/10/2021