Il sociologo Immanuel Wallerstein è scomparso il 31 agosto all’età di 89 anni. A lui, da Bruadel al Social Forum e attraverso gli scritti e le collaborazioni con Balibar, Samir Amin e Arrighi, si devono analisi sull’egemonia, l’azione individuale e collettiva all’interno del “sistema-mondo”. Ha rinnovato l’analisi marxista e gli studi sulla decolonizzazione. Qui di seguito, apparso su il manifesto, un breve “ricordo” dell’intellettuale militante…
Il mondo di Wallerstein
Mario Pianta
“Dopo il neoliberismo non è detto che otterremo una svolta socialista. Potremmo avere il fascismo”. Era il 2002, al secondo Forum sociale mondiale di Porto Alegre, e Immanuel Wallerstein spiegava a migliaia di attivisti la complessità del sistema mondiale e l’incerto intreccio tra economia e politica. Una visione globale che gli ha permesso di analizzare il declino degli Stati Uniti come centro del mondo a partire dagli anni ’80, la varietà di traiettorie della semiperiferia e la continua marginalizzazione dei paesi della periferia.
Immanuel Wallerstein è scomparso il 31 agosto all’età di 89 anni. Sociologo politico formatosi alla Columbia University si è occupato a lungo dei paesi africani, poi nel 1976 diventa direttore del Fernand Braudel Center alla State University of New York a Binghamton, e chiama Giovanni Arrighi e altri collaboratori a sviluppare la teoria del “sistema mondo”, fondando la rivista ‘Review’. E’ stato presidente dell’International Sociological Association, ha insegnato in decine di università ed era ora Senior Scholar all’Università di Yale.
Da sempre impegnato in politica, Wallerstein fu dalla parte degli studenti (era professore associato) nella rivolta del 1968 alla Columbia, è stato un protagonista di molte sessioni del Forum Social Mondiale, ha scritto spesso per la New Left Review ed è stato una delle voci di riferimento dei movimenti globali e della sinistra.
Il suo lavoro più importante è ‘Il sistema mondiale dell’economia moderna’ (il Mulino, tre volumi usciti tra il 1978 e il 1995) in cui sviluppa l’approccio dello storico francese Fernand Braudel per delineare come tra il 1500 e il 1840 emerge un’economia mondiale capitalistica, con intensi flussi di merci e capitali, organizzata in centro e periferia. Un quarto volume, che prolunga l’analisi al 1914 è uscito nel 2011 in inglese.
I cicli di sviluppo dell’economia-mondo riflettono diverse fasi di accumulazione e corrispondono a diverse egemonie politiche, l’ultima delle quali è quella degli Stati Uniti, ora destinata al declino. Quest’approccio è poi ripreso in ‘Alla scoperta del sistema mondo’ (Manifestolibri, 2010) eComprendere il mondo. Introduzione all’analisi dei sistemi-mondo’ (Asterios 2013). Questa dinamica dell’economia mondo tuttavia non esclude le possibilità di cambiamento; i conflitti nascono all’interno stesso delle trasformazioni del sistema. In ‘Antisystemic movements’ (scritto con Arrighi e Hopkins, Manifestolibri, 2000) si ricostruisce la ‘rivoluzione globale’ del 1968, le lotte di liberazione nazionale, il passaggio dal tentativo di prendere il potere statale a nuovi conflitti sociali con una diversità di soggetti, anticipando l’emergere dei movimenti globali della fine degli anni ’90.
La questione dei soggetti sociali e delle identità, al di là delle condizioni economiche, è analizzato in ‘Razza, nazione, classe. Le identità ambigue’ (con Etienne Balibar, Edizioni Associate, 1991), con il tentativo di delineare categorie teoriche e politiche adeguate per il nostro tempo. Tra i testi più politici ricordiamo poi due volumi di discussione con Giovanni Arrighi, Samir Amin e André Gunder Frank (‘Dynamics of global crisis’ e ‘Transforming the revolution’).
Lo sguardo di Wallerstein si proietta in avanti in libri come ‘Dopo il liberalismo’ (Jaca Book, 1999) e soprattutto in ‘Utopistica. Le scelte storiche del XXI secolo’ (Asterios, 2003), dove difende l’utopia come “seria valutazione delle alternative storiche (…). Non il volto di un futuro perfetto (e inevitabile), ma il volto di un altro futuro, credibilmente migliore e storicamente possibile (ma tutt’altro che certo)”. Ed è nei periodi di transizione come il nostro che “l’azione individuale e collettiva possono avere un impatto maggiore sulla futura struttura del mondo”.
il manifesto, 1/9/2019
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