Disarmare le parole …di Emilia De Rienzo

Forse oggi abbiamo bisogno di un gesto semplice e rivoluzionario: disarmare le parole. Restituire loro quella fragilità che non è debolezza, ma disponibilità all’incontro. Renderle un ponte e non un’arma.
La tenerezza è questo: un linguaggio che non ferisce, non invade, non pretende. Una forma di attenzione che si avvicina senza travolgere, come se dicesse all’altro: posso raggiungerti senza cancellarti.
Leopardi l’aveva intuito nel suo modo unico: nello spazio del dolore gli esseri umani possono riconoscersi. Non perché il dolore nobiliti, ma perché rende evidente ciò che siamo: vulnerabili. E la vulnerabilità, se non chiude, apre. Apre uno spiraglio nel quale può nascere la tenerezza, un gesto minimo che dice: il tuo dolore non mi lascia indifferente.
In un tempo che teme la fragilità e la copre con l’efficienza, la tenerezza è quasi scandalosa: non risolve, non accelera, non produce. Ma accompagna. E accompagnare, oggi, è già un modo di resistere.
Disarmare le parole significa imparare a usarle senza trasformarle in giudizio, in superiorità, in distanza. È un esercizio lento, che chiede di spostarsi da sé per lasciare spazio all’altro. Allora la parola tende la mano invece di indicare; accoglie invece di spiegare; ascolta invece di interpretare. La parola si fa ponte: fragile, sì, ma capace di reggere ciò che conta.
Forse la tenerezza comincia proprio qui: in un linguaggio che rinuncia alla forza per scegliere la prossimità. La tenerezza è un modo di stare nel mondo: una postura, una disponibilità, un affidamento reciproco. Ha la forza delle cose che non urlano. La forza di ciò che non conquista, ma si offre. La forza di un gesto che non vuole avere ragione, ma cercare relazione. E forse è per questo che la tenerezza non cambia il mondo da sola, ma cambia il modo in cui ci stiamo dentro.

Comune, 6 dicembre 2025

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