Una penna, un uomo e la sua fame di libertà. Quando Mohamed Tadjadit iniziava a buttare giù i versi che avrebbe declamato tra le strade di Algeri durante le manifestazioni del 2019, note come Hirak, non immaginava che la sua arte lo avrebbe costretto dietro le sbarre. Eppure così è stato.
Da allora, il 31enne è entrato e uscito dal carcere fino a subìre la sesta detenzione, che sta scontando da gennaio nel penitenziario di El Harrach, nella provincia di Algeri. Soprannominato «il poeta dell’Hirak», Tadjadit è tra le personalità più perseguitate dal regime. L’11 novembre è stato condannato dal tribunale penale di primo grado di Dar El Beïda (Corte di Algeri) a 5 anni di prigione e al pagamento di 200mila dinari algerini per «apologia di terrorismo». Per protesta, ha portato avanti uno sciopero della fame per 10 giorni. Il 17 dicembre ci sarà l’appello. Oggi, 30 novembre, sarà invece processato in un caso separato con 12 attivisti, dove è accusato di cospirazione contro lo Stato. Rischia l’ergastolo, se non la pena di morte.
«DAL 2019, sono stati documentati 14 procedimenti in 4 dossier in cui Tadjadit è stato condannato a pene detentive. Credo che rappresenti un record rispetto a tutti gli attivisti e difensori perseguiti in Algeria», riflette Aïssa Rahmoune, segretario generale della Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh). In una dichiarazione congiunta, la Fidh si è appellata alle autorità algerine per il rilascio di Tadjadit e dei 12 coimputati. Rifugiato in Francia, Rahmoune si batte da lì per denunciare la questione dei detenuti d’opinione algerini, gli stessi che difendeva in qualità di avvocato quando era in Algeria.
Al manifesto racconta le influenze della penna dissidente di Tadjadit. Il poeta proviene da una famiglia rivoluzionaria della Cabilia: suo nonno, omonimo, è stato uno shahid (martire) della rivoluzione algerina (1954-1962). Nato nel quartiere di Bab El Oued e cresciuto nella Casbah, teatro della battaglia di Algeri, Tadjadit incarna «lo spirito dell’indipendenza e quello della decolonizzazione». Dà voce a una generazione repressa, ora dal regime di Abdelaziz Bouteflika, ora – ancor di più – da quello di Abdelmadjid Tebboune. «In una delle sue poesie scriveva che se l’Algeria ha ottenuto l’indipendenza, il cittadino algerino ancora cerca la propria libertà».
L’arte di tadjadit è strettamente connessa alla sua partecipazione politica. Una sensibilità che prende forma con il crollo della sua casa, all’età di 16 anni. L’incapacità delle autorità di trovare un alloggio provvisorio per la sua famiglia fece montare in lui rabbia e senso di abbandono. Emerse così la voglia di esprimere un sentimento al contempo personale e comune. Viene arrestato per la prima volta nel novembre 2019, durante una manifestazione a supporto dei detenuti d’opinione. È condannato a 18 mesi di reclusione «per minaccia all’unità nazionale». Una sentenza definita «tra le più pesanti dall’inizio dell’Hirak». Il poeta viene rilasciato con sospensione della pena in cambio del «divieto di parola».
Seguono altri arresti e accuse, come quella di diffondere informazioni false, organizzare un’associazione a delinquere, incitamento all’odio, istigazione ad assembramenti non armati. A novembre 2024 aveva ottenuto la seconda grazia presidenziale, la stessa ricevuta dallo scrittore franco-algerino Boualem Sansal il 12 novembre scorso. Tuttavia, a gennaio è arrestato di nuovo per la sua partecipazione alla campagna social #ManichRadhi (“Non sono soddisfatto”). Lanciato lo scorso Natale, l’hashtag era una protesta contro le condizioni economiche, sociali e politiche in Algeria. Ne è seguita un’ondata di arresti. «Dall’Hirak sono stati documentati più di 35mila procedimenti», riporta Rahmoune.
Contestare è la più grande minaccia percepita dal regime algerino. Imbavagliare, la sua strategia. Intanto Tadjadit vince il Freedom of Expression Award 2025 dell’Index on Censorship per la sua resistenza poetica, mentre l’Italia e l’Unione europea rafforzano i rapporti economici con Algeri.
Nadia Addezio, il manifesto, 30 novembre 2025
