Citta morte, di Mike Davis

Bisogna leggere Mike Davis per capire la profondità della crisi nella quale viviamo. E per comprendere che non ci sono vie d’uscita semplici, soluzioni tecniche miracolose o ipotesi politiche rassicuranti. La macchina corre e le uscite di sicurezza sono strette, lontane e avvolte nella nebbia.

Tra i pregi delle ricerche di Davis c’è proprio questo: il fatto di porci di fronte al mondo nella sua brutalità. Senza finzioni. A volte le sue analisi sono state definite apocalittiche o prive di alternative e slancio verso un futuro diverso. Non è così. Nel libro di cui parliamo Città morte. Storie dal sottosuolo metropolitano (DeriveApprodi, pp. 432, euro 25), così come in altri lavori dello studioso scomparso nel 2022, c’è semplicemente il realismo di Davis e, quindi, la necessità di cercare vie inattese, alternative radicali. Non a caso, il testo si colloca nella collana «Materialismi» dell’editore: esso si confronta con la realtà, nella sua dimensione storica fatta di rapporti di potere tanto strettamente politici quanto più ampiamente socioecologici.
Il libro è un viaggio approfondito nell’ecocidio prodotto dalla Guerra fredda, nel razzismo che organizza la vita urbana e lo spazio delle città degli Stati Uniti, nella distopia di Las Vegas, nelle ideologie e religioni della catastrofe, nel nuovo schiavismo industriale, nell’intifada nera, nel controllo sociospaziale e la relativa polizia, nella sicurezza come tecnologia di subordinazione sociale, nella fine della città come progetto democratico, nella storia naturale delle città morte, che comprende la distruzione del suo spazio comune interpretata come una vera e propria pandemia urbana.

Questa densità di temi viene presentata, con continui intrecci e richiami interni, nelle quattro parti in cui il testo è organizzato, arricchito dalle prefazioni di Rebecca Solnit e Giovanni Semi. Le quattro parti hanno titoli tanto evocativi quanto riferiti a condizioni e rapporti di potere molto concreti: «Neon West», «Fantasmi sacri», «Città in rivolta», «La scienza estrema».
Il cambiamento climatico, insieme alla guerra, è il cuore di questo libro, in combinazione con l’analisi dell’incompatibilità del modo di produzione capitalistico con la riproduzione della vita. Davis, in questo testo originariamente pubblicato nel 2002 e tradotto da Chiara Luce Breccia, riconosce che «sebbene sia teoricamente possibile immaginare un capitalismo globale verde senza la dilagante dipendenza dai combustibili fossili, quello che davvero sta succedendo è una sporca controrivoluzione ambientale». Perché? Semplicemente perché, concludendo il testo prima dei ringraziamenti, «il volgare determinismo economico – che inizia e finisce con i superprofitti del settore energetico – detiene attualmente i veri posti di potere».
Siamo di fronte alla chiarezza e alla profondità dell’analisi materialistica. Capace di individuare i nessi di produzione e riproduzione dei rapporti di potere, ma anche di dare nome e cognome a chi di questi nessi si avvantaggia a discapito di altri, tanto esseri umani quanto non umani. Ma siamo anche di fronte alla profondità di analisi di chi vede la necessità di cercare, con audacia, punti e modi di osservazione radicalmente altri in confronto al presente e alle eredità dei secoli passati, che sembrano non passare, della modernità.
Quando Davis pensa alle grandi città, riconosce che non si può continuare a pensarle in modo lineare e settorializzato. «Il bisogno più urgente – scrive – è quello «di modelli concettuali su larga scala per comprendere la dialettica città-natura». Aggiungendo che «le «città morte, in altre parole, potrebbero dirci molto sulle dinamiche della natura urbana. Ma quale esperto forense ha mai esaminato, in questi termini, il cadavere di una grande città? Chi ha mai messo un microscopio sulle rovine di Metropolis?».

L’ecologia urbana è caratterizzata da dimensioni non lineari: indagarle potrebbe aprire vie di uscita dalla crisi. Ovviamente, questo difficilmente interessa a chi interviene economicamente nella città o la amministra, interessato a riprodurre il suo governo come macchina della crescita, in un gioco, se possibile, all’infinito. Anche se questo avviene mentre tante città letteralmente bruciano, per gli incendi che le aggrediscono, sempre più rilevanti ad esempio per Los Angeles, o per le bombe che le devastano fino all’inabitabilità, come sta accadendo a Gaza da due anni per l’azione impunita dell’esercito israeliano

Gennaro Avallone, il manifesto, 5 novembre 2025

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