Un articolo su il manifesto di Mario Pierro ci racconta il Rapporto italiani nel mondo 2025 della Fonfazione migrantes. Le sorprese sono molte e interessanti: rivela l’aumento dell’emigrazione e capovolge i luoghi comuni sull’immigrazione, inoltre apre interrogativi sulle politiche e la qualità della vita nel nostro paese
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Il Rapporto Italiani nel mondo 2025 della Fondazione Migrantes opera una decisa demitizzazione della retorica nazionale sull’espatrio, dichiarando apertamente che la mobilità non è più solo una tragedia o un trauma, ma una scelta consapevole e razionale dettata dalla necessità. Si fugge per ottenere un salario dignitoso, un sistema di welfare che non uccida in pronto soccorso e una vita dignitosa. La Fondazione Migrantes, inoltre, capovolge l’ideologia razzista della «sostituzione etnica», pane quotidiano delle destre al potere e delle sinistre securitarie, sostenendo che il vero problema italiano è l’emigrazione dei suoi cittadini, non l’immigrazione. La Fondazione Migrantes invita a superare le narrazioni emergenziali e, soprattutto, la distinzione rigida tra «emigrazione» e «immigrazione» sottolineando come entrambe esprimano la mobilità di persone legate in modi diversi all’Italia.
Un dato significativo e spesso trascurato è l’emigrazione degli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana: oltre 1 milione e 576mila tra il 2014 e il 2023. Un espatriato su cinque è un nuovo italiano, partono soprattutto emigrati italiani di origine brasiliana e bangladese. Nel biennio 2022-2023 si sono registrate quasi 501 mila acquisizioni di cittadinanza, ma la successiva partenza di molti di questi nuovi cittadini.
L’oltre confine è considerata la ventunesima regione italiana, e la riflessione più urgente riguarda la rapidità con cui i suoi residenti stanno crescendo rispetto alla popolazione immigrata che ristagna. Se nel 2019 emigrati italiani e immigrati stranieri si equivalevano a circa 5,3 milioni, oggi il numero dei connazionali all’estero ha operato il contro-sorpasso, superando di 1 milione quello degli stranieri in Italia. Attualmente, gli italiani all’estero sono 6 milioni e 400 mila, un dato che si confronta con i 5,4 milioni di stranieri in Italia. La crescita degli emigrati italiani in vent’anni è stata del 106%, ma l’indicatore più allarmante è quello del flusso netto in uscita: 155 mila persone hanno lasciato l’Italia quest’anno, un aumento del 36% rispetto all’anno scorso, a fronte di 169 mila immigrati arrivati.
L’Europa si conferma il principale polo di attrazione: tra il 2006 e il 2024, circa il 76% degli espatri (1,25 milioni) ha avuto come destinazione il continente, e il 60% dei rimpatri (488 mila) proviene da lì. Il baricentro delle partenze rimane saldamente europeo, con Regno Unito (289.000), Germania (248.000), Svizzera (166.000), Francia (162.000) e Spagna (106.000) ai primi posti. Fuori dall’Europa, spiccano Stati Uniti (83mila) e Brasile (80.000). La nuova emigrazione non è distribuita in modo uniforme: il Sud Italia rimane l’area di partenza principale, con la Sicilia che si conferma la regione con la comunità di residenti all’estero più numerosa (844 mila), seguita da Lombardia (690 mila) e Veneto (614 mila). Anche alcune aree del Centro-Nord, come Abruzzo, Marche ed Emilia-Romagna, mostrano flussi significativi, soprattutto dai piccoli comuni e dalle zone interne, a riprova che il malessere è capillare. L’analisi della distribuzione regionale degli iscritti all’Aire evidenzia che, di fronte allo spopolamento a livello nazionale, la mobilità verso l’estero è in crescita in ogni contesto territoriale. Nove regioni presentano variazioni marcatamente più alte, tra cui Veneto (+9,0%), Lombardia (+7,5%) e Toscana (+6,6%).
Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, è chiaro sulle priorità: «Bisogna investire sui giovani, investire nell’università e nell’internazionalizzazione dell’università, investire in ricerca, investire nei salari che sono certamente più bassi rispetto ai salari europei». Tutto questo è un impegno che l’Italia «non vede attualmente dei segnali». È inoltre necessario investire in cittadinanza. Viene definito uno «strabismo legislativo» «l’aver fermato lo ius sanguinis e, al contempo, non aver sviluppato lo ius soli e lo ius scholae, penalizzando la presenza di 900 mila bambini nelle scuole italiane».
Mario Pierro, il manifesto, 12 novembre 2025
