L’hanno ucciso, e ancora non si sa chi l’abbia fatto e l’abbia voluto. Noi sappiamo che dava fastidio perché usava lo strumento della critica, una critica irriducibile, contradittoria, discutibile, spiazzante. Intellettuale, poeta, regista, profeta: Pasolini era tutto questo.
Lo abbiamo amato tantissimo, abbiamo pianto alla sua morte.
Lo abbiamo accompagnato quando la polemica diventava invettiva feroce e quando ci mostrava le nostre contraddizioni. E con lui ci siamo arrabbiati e l’abbiamo criticato quando si muoveva sul terreno della nostalgia di un mondo perduto.
L’avversario era il potere, contro di esso si scagliava, contro la cultura borghese che lo alimentava, svelando la sua forza di persuasione alla quale nemmeno la sinistra sapeva resistere. Nel potere si annidavano i nemici che l’hanno ucciso, ma è potuto accadere per assolvere la cattiva coscienza collettiva.
Dopo tutti questi anni Pasolini ci parla ancora, forse grida ancora più forte. Perché ci dice della disumanizzazione del mondo delle merci, della perdita della coscienza di sé, della fascistizzazione della società, della deriva autoritaria…
Rileggiamolo, rivediamo i suoi film, rappresentiamo il suo teatro, critichiamolo. Potremmo almeno capire qualcosa di più del presente. Lui vorrebbe questo.
Hanno ucciso Pier Paolo Pasolini, 50 anni fa!
