Marocco. La Generazione Z tra manifestazioni e repressione …di Matteo Garavoglia

Da più di una settimana decine di città in tutto il Marocco sono scosse da una delle più grandi manifestazioni di massa degli ultimi anni. La mobilitazione è guidata dal movimento «GenZ 212» e coordinata attraverso piattaforme come TikTok e Discord, sulla falsariga di quanto avvenuto in paesi come Nepal, Madagascar e Kenya.

Le proteste sono iniziate a seguito della notizia della morte di otto donne incinte nell’ospedale di Agadir, nel sud del paese, a causa di complicazioni cesaree. Uno squarcio all’interno del fragile sistema economico e sociale marocchino, dove le disuguaglianze tra la popolazione sono decisamente marcate. Uno squarcio che potrebbe diventare irreparabile dopo la morte di tre giovani manifestanti, colpiti da proiettili sparati dalla polizia nella regione di Agadir. «Stiamo chiedendo scuole e ospedali. Non si tratta dell’impossibile, queste sono le necessità del Marocco. Come fanno le autorità a non capire tutto ciò?» ha dichiarato una giovane manifestante durante una protesta a Rabat.
All’interno di un quadro già molto frammentato, le attenzioni della nuova generazione marocchina si sono rivolte all’organizzazione della Coppa del Mondo di calcio prevista nel 2030, considerata non necessaria e causa di sprechi economici per miliardi di euro. «Meno stadi, più ospedali» e «Libertà, dignità e giustizia sociale» sono tra gli slogan più cantati. La risposta del governo non si è fatta attendere. Il primo ministro Aziz Akhannouch, uno degli uomini più ricchi del Marocco con un patrimonio di 1,6 miliardi di dollari, si è detto pronto al dialogo. A smentire le sue recenti parole è stata l’ondata di arresti che ha riguardato oltre 1000 persone, molte delle quali minorenni, mentre fonti di Stato hanno fatto trapelare che qualsiasi atto di violenza o vandalismo potrebbe comportare condanne da 10 a 20 anni di prigione.

A fare ancora più rumore in questa delicata fase storica sono le precarie condizioni fisiche del re Mohammed VI, affetto da anni da cronici problemi di salute. Nonostante il regno sia chiuso ermeticamente a qualsiasi tipo di coinvolgimento pubblico riguardo ai suoi equilibri interni, diversi analisti negli ultimi mesi hanno segnalato che la transizione dei poteri ha già preso il via, con il figlio poco più che ventenne Hassan che starebbe velocizzando la propria formazione reale.
Corruzione. Instabilità. Marginalizzazione sociale. Sembrano questi i tre ingredienti alla base di uno scossone che non si vedeva da tempo in Marocco, con le mobilitazioni che promettono di proseguire anche nei prossimi giorni.

Le ultime grandi proteste risalgono al 2016 e riguardarono una specifica regione nel nord del paese, il Rif. Un’area storicamente marginalizzata che si mobilitò dopo la morte di Mouhcine Fikri, un venditore ambulante schiacciato da un camion dei rifiuti dopo che la merce gli era stata confiscata dalla polizia. Le proteste andarono avanti per chiedere maggiori diritti economici e sociali in diverse città del Rif come Nador e Hoceima. I manifestanti subirono una dura repressione con più di mille arresti e l’arresto di Nasser Zefzafi, leader del movimento dell’Hirak, il quale ancora oggi sta scontando una condanna a 20 anni di prigione.
Se le proteste del 2016 hanno riguardato una regione specifica che storicamente si batte per vedersi riconosciuta, se non l’indipendenza, almeno una grande autonomia, nel 2011 i venti della cosiddetta primavera araba toccarono anche il Marocco e portarono a una breve apertura da parte del regime. Il testo costituzionale venne rivisto e per qualche anno nel paese si respirò un’aria diversa, fatta di maggiori diritti e del sentimento che qualcosa potesse cambiare.

Oggi la realtà sembra tornata cupa. Le autorità hanno ripreso un controllo quasi totale del paese e una cappa repressiva che non riguarda solo le aree più sensibili come il Rif o il Sahara Occidentale, regione contesa fin dal 1976 da Rabat e dal Fronte Polisario, ma anche zone più centrali come la capitale, Casablanca, Agadir, Fes e Marrakech.
Le immagini che arrivano dal Marocco parlano di arresti arbitrari, ma anche di una violenza che ha preso di mira i luoghi più rappresentativi del potere, come commissariati e furgoni blindati della polizia, spesso dati alle fiamme. Anche se oggi il Marocco prova a proiettarsi all’esterno con un’immagine di paese in forte crescita economica, i vecchi problemi strutturali legati alla repressione e alla marginalità sociale ed economica continueranno a tormentare i sogni di Mohammed VI e di tutto il regime.

Questo articolo è stato realizzato con il sostegno di Journalism fund Europe, il manifesto 11 ottobre 2025

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