Ci ha lasciati Fausto Amodei

Fausto Amodei è morto ieri a Torino all’età di 91 anni. Cantautore militante, ricercatore musicale. Un ironico intellettuale che amava sbertucciare i potenti e non solo quelli.
Ho avuto il piacere di incontrarlo un paio di volte, a Torino, a casa di un altro Fausto, amico e compagno dello Psiup.
Per ricordarlo riporto qui un articolo di Flaviano De Luca apparso su il manifesto
. (marco)

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«Compagno cittadino fratello partigiano/ teniamoci per mano in questi giorni tristi (…) Di nuovo come un tempo sopra l’Italia intera/ Fischia il vento infuria la bufera». Parole indimenticabili di questo inno di lotta del dopoguerra, mandate a memoria da più generazioni, scritte Per i morti di Reggio Emilia, nel 1960, quando la polizia di Tambroni sparò contro i manifestanti lavoratori delle Officine Reggiane uccidendo cinque persone (almeno tre ex partigiani). Le aveva messe giù, il giovane architetto torinese Fausto Amodei – scomparso ieri a 91 anni nella sua casetta in Alta Val Pellice – in quelle incerte stagioni tra agricoltura in trasformazione e sfavillii del boom economico, dove si voleva dare dignità culturale alle strofe sul pentagramma, dove ci si batteva per far rivivere il canzoniere anarchico-socialista contro la melassa sanremese.

Barbetta bianca da elfo e arguta vena umoristica, il cantautore e musicista Fausto Amodei è stato uno dei padri nobili della canzone d’autore e sociale, fedele alla regola di cantare la cronaca (le sue ultime composizioni di poche stagioni fa erano contro le esternazioni di Salvini sulle Ong e i migranti), grande personaggio ispirato dalla lezione di Georges Brassens e Angelo Brofferio, scrittore e drammaturgo piemontese, con un ampio repertorio, composto perlopiù in galera. Aveva cominciato con il Cantacronache di Straniero e Liberovici negli anni ’50 e ha attraversato cantando la grande stagione degli anni ’60, passando da La fanfaneide a Il proclama di Camillo Torres a La canzone della marcia della Pace (scritta con Franco Fortini per la prima Perugia-Assisi, in programma quest’anno il 12 ottobre). Entra a far parte del Nuovo Canzoniere Italiano di Giovanna Marini, Ivan Della Mea e Paolo Pietrangeli, seguace degli studi di Roberto Leydi e Gianni Bosio con le loro antologie di canti sociali. Racconta degli scioperi nelle industrie dell’auto a Torino, con la Ballata per Michelin e la Lettera di Robert Bowman, un ex colonnello statunitense poi diventato sacerdote che denuncia l’insensatezza della guerra.

Brillante divulgatore, cantore polemico e satirico, traduce Brassens in piemontese, collabora con Gianni Rodari, le sue ballate hanno cresciuto le schiere di futuri cantautori, da Guccini a Dalla. Negli anni 50 aveva frequentato la scuola di partito di Unità Popolare, la formazione di Parri, e nel 1968 fu eletto al Parlamento nelle liste del Psiup e tornò al suo lavoro di architetto nella Commissione Lavori Pubblici. Nel 1976 compone una cantata per sei strumenti e quattro voci, Il partito, richiamandosi agli scritti di Camilla Ravera, una fondatrice del Pci.

Per tutti gli anni ’70 e ’80 ha continuato a esibirsi in feste popolari, iniziative politiche, spettacoli teatrali e manifestazioni in ricordo della Resistenza. Fece anche la parodia del fascista Canto degli Arditi, e si intitolava. Se non li conoscete (1972).

Implacabile e divertente fustigatore di costumi, il suo album L’ultima crociata, del 1975, se la prendeva coi i quattro dell’apocalisse ossia Andreotti-Almirante-Gedda e Lombardi, i quattro sostenitori della campagna per il No al divorzio. E negli anni duemila, Per fortuna c’è il cavaliere, un cd con nuove canzoni compresa Berluscrauti (che qualcuno ricorderà in una versione precedente di una ventina d’anni cantata da Monica Vitti e intitolata semplicemente I Crauti, «Io non ca/pisco la/gente/ che vota/ per Berlu/sconi!». Il campione arraffatelevisioni delle leggi ad personam si aggiungeva al lungo elenco di potenti, sbertucciati con sapiente ironia, attraverso una musicalità colta e testi dalle rime perfette. Sapeva essere epico e anche buffo. E quel suo ritornello finale, un glorioso stendardo per i militanti di sinistra, «morti di Reggio Emilia uscite dalla fossa/ tutti a cantar con noi Bandiera Rossa». Evviva il comunismo e la libertà…

Flaviano De Luca, il manifesto, 19 settembre 2025

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