L’ipocrisia occidentale …di Giuseppe Giannini

Quando il mondo dorme (Rizzoli) è il titolo del saggio, parzialmente autobiografico, scritto dalla Relatrice speciale dell’ONU Francesca Albanese. Un libro denso, che rapisce subito, sin dalle prime pagine, immergendo il lettore in un viaggio conoscitivo all’interno di quella terra martoriata, che è la Palestina. Intrecciando vissuto personale, racconti, testimonianze ed esperienze legate alle funzioni svolte come osservatrice dei Territori Occupati, Albanese, mediante il confronto con intellettuali (anche ebrei), medici, professionisti ed esperti dei diritti umani e del diritto internazionale, cerca di squarciare il velo dell’ipocrisia occidentale.

Senza sviscerare il contenuto del libro, che invito a leggere, la trama si dipana attraverso dieci storie, che nella loro diversità sono accomunate da un medesimo destino. L’essere parte di una sofferenza ereditata, vissuta, subita. Traumi individuali e collettivi, che possono essere affrontati solo tramite il racconto, ma mentre il trauma ebraico dell’Olocausto ha avuto dei luoghi e dei simboli di identificazione mondiale (Il Giorno della Memoria, i Musei e le opere che lo riguardano), nessuna democrazia occidentale è stata in grado di riconoscere la ferita ancora aperta di un popolo oppresso, che oggi vede messa a rischio la sua sopravvivenza e il futuro.
Le complicità occidentali nel ribadire lo status di indeterminatezza dei palestinesi cacciati e vessati nella loro terra. Rifugiati, apolidi, profughi, colonizzati. Discriminati, violentati, torturati, trucidati. Una lunga storia di sofferenze che, all’indomani del secondo conflitto mondiale, giunge ai giorni nostri, lasciando testimonianze (dalle generazioni della Nakba al nuovo esodo dei senza patria) di sopraffazioni fissate nel regime di segregazione razziale. E che nel silenzio, nella cecità dei governi, trova nel genocidio il mezzo di “risoluzione finale”. La cacciata definitiva e l’appropriazione indebita di ciò che rimane dei territori, allargando altrove le mire, per portare a compimento il disegno sionista intriso di fanatismo. L’apartheid è qualcosa con cui la popolazione palestinese ha sempre convissuto, ma sale l’indignazione quando leggiamo di uccisioni deliberate e insensate. Bambini martoriati (Hind), medici stuprati (Ghassan), donne e uomini, che non hanno nessuna colpa. La questione palestinese derubricata, per troppo tempo, a crisi umanitaria, il che ha comportato, in realtà, la normalizzazione delle ingiustizie, senza capire che il problema è politico, e solo in quella sede deve essere affrontato.
I confronti con i genocidi passati e le responsabilità attuali di Paesi, come la Germania, l’Italia, gli Stati Uniti o gli inglesi, che continuano a fornire armi e tecnologie ad Israele. E poi la repressione (divieto di esporre la bandiera palestinese) e l’uso della forza (pestaggi, arresti) nei confronti di ogni iniziativa – le manifestazioni, gli incontri, i dibattiti – deputata a porre fine allo spargimento di sangue. Questi fattori, insieme all’indulgenza, che permette di sorvolare sulle tante dichiarazioni giuridiche, compromettono il sistema delle regole in cui viviamo.

Da conoscitrice del posto e dei diritti umani Francesca Albanese ci offre anche una puntuale disamina delle pronunce della giustizia internazionale. Ad esempio, cosa prevede la Convenzione per la prevenzione del genocidio, oppure le affermazioni della Corte di Giustizia, secondo cui, in quanto paese occupante Israele non può attaccare la popolazione sottomessa.

Il colonialismo di insediamento rende difficile la vita per la popolazione occupata, attaccando le infrastrutture essenziali, inquinando il sottosuolo, tagliando acqua ed elettricità (è accaduto anche durante il covid, forse per far diffondere la pandemia?), distruggendo le abitazioni e le scuole, i luoghi di culto. Le operazioni di sfollamento si verificano senza preavviso, anche in piena notte. Alberi abbattuti, terreni dedicati al pascolo espropriati, ed altre misure fanno si che la vendita dei prodotti palestinesi subisca impedimenti tali da rendere impossibile la vita economica.
Ci sono gli interventi premeditati, irragionevoli, ma che rafforzano la pulizia etnica, e sono quelli relativi all’uccisione dei giornalisti o dei medici negli ospedali (un migliaio di operatori), affinché non possano essere d’aiuto per tanta gente che giunge in condizioni disperate. A loro volta torturati e sottoposti a supplizi disumani (l’ordine di spezzargli le mani per chi sopravvive) prima di essere fatti fuori. E puntualmente, la diffusione di fake da parte dell’esercito e dell’esecutivo israeliano che, per giustificare la mattanza, dei civili in fila per il cibo, o degli stessi medici e giornalisti, affermano che essi erano legati ad Hamas.

Insieme alla tristezza sale la rabbia. Tuttavia, le varie storie ci parlano anche di dignità e di dolcezza. La capacità di immedesimarsi attraverso l’ascolto, di capire andando oltre le barriere ideologiche e la propaganda. Perché è la nostra indifferenza quella che fortifica i crimini.
“È quando il mondo dorme che si generano i mostri”. Quindi è necessario cambiare approccio. Guardare in maniera diversa, o vedere, finalmente, cosa sta accadendo. Denunciare, agire, pensare alla coesistenza fra popoli e culture, per lavorare alla pace (iniziando da noi stessi).

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