Il sessimo on line e la “normalità” del dominio maschile …di Lea Melandri

L’informazione sui siti online «Mia moglie» e «Phica.net» continua e permette di vedere, dietro l’attualità di eventi effettivamente sconcertanti -le foto rubate a donne senza il loro consenso e scambiate nel gruppo degli uomini attraverso i social – un fenomeno più esteso e legato solo in parte alle nuove tecnologie comunicative. L’insistenza sull’aspetto giudiziario e sull’effetto della visualizzazione online è sicuramente importante, così come l’invito che viene rivolto alle vittime perché denuncino la violenza subita. Ma c’è il rischio che venga così occultato il “sistema” che c’è dietro tutto questo, e cioè la ‘normalità’ del dominio maschile, della cultura patriarcale che accompagna la nostra storia da sempre.

Ciò che viene a mancare, se si continuano a mettere in evidenza solo questi aspetti, è un salto della coscienza politica. In altre parole, si rimanda ancora una volta la necessità di andare all’origine del rapporto tra i sessi, a quello spostamento o proiezione che l’uomo ha fatto sulla donna dell’animalità, di tutto ciò che ha a che fare col corpo, con l’appartenenza alla materia vivente e alla sua finitezza. Non è una novità, dal momento che ne parlano sia la cultura greco romana cristiana che il senso comune, il fatto di aver visto nella donna la sessualità, il corpo che genera e il corpo erotico, così come non dovrebbe stupire sapere che gli uomini vantano le loro conquiste femminili: “avere”, “possedere” una bella moglie. Parlare della ‘normalità’ significa anche uscire dall’idea che il sessismo riguardi solo alcuni uomini, che sia un problema da rimandare alla patologia e alla illegalità, per cui la maggior parte dei loro simili può dire «io non sono così».
Un problema non secondario, quando si parla della relazione tra i sessi, è oggi la difficoltà degli uomini a pensarsi come “genere”, a vedere nella “virilità” un elemento identitario diventato anche per loro “destino naturale”, il marchio che assicura privilegi ma anche la mutilazione di tratti essenziali dell’umano. “Genere” sono state considerate storicamente solo le donne – anzi, la Donna, un tutto omogeneo, un ruolo, una funzione necessaria per «rendere buona la vita» all’altro sesso (Rousseau). Gli uomini, al contrario, si sono pensati come “individui”, persone prese nella loro singolarità, e come tali continuano a pensarsi, ragione per cui possono anche mettere distanza tra sé e quelli che considerano le devianze dei loro simili. Per un altro verso, si potrebbe dire che le donne rischiano a loro volta di restare legate a ruoli – madri, mogli, amanti, ecc. – che hanno dato loro un qualche potere, sostitutivo di altri da cui sono state escluse, un potere che non giova alla loro creatività e individuazione.

Andare alla radice del sessismo vuole dire rendersi consapevoli che per lo sguardo maschile le donne sono ancora “essenzialmente corpi”. Quando si dice di una donna che ha subito violenza «se l’è cercata», si va a toccare un pregiudizio di fondo della nostra cultura, e cioè l’identificazione delle donne con la sessualità. E il paradosso, come ha detto il femminismo degli anni Settanta con l’ autocoscienza e la pratica dell’inconscio, è che la sessualità femminile è stata cancellata e che dominante storicamente è stata solo quella maschile. Tra l’altro, come ha sottolineato Carla Lonzi, una sessualità generativa che ha procurato non poche sofferenze alle donne per gravidanze indesiderate. Dietro le infinite forme di sessismo, diventate la ‘normale’ violenza quotidiana, interiorizzata purtroppo come tale dalle donne stesse, c’è dunque una profonda misoginia, che passa allo stesso modo attraverso i saperi, le discipline scolastiche, la cultura alta che abbiamo ereditato e che ancora trasmettiamo, e il senso comune. Oggi si parla molto più che in passato di “educazione di genere”, e questo è senza dubbio un cambiamento della coscienza storica, ma di fatto, stando alla situazione attuale della scuola, si fa molto poco per renderla operante nei processi educativi fin dalla prima infanzia. Le giovani insegnanti, per lo più precarie, sanno i rischi che corrono, da parte dell’autorità scolastica o delle famiglie, quando tentanto di portare “il corpo a scuola”, di vedere nell’alunno la persona nella sua interezza, dando ascolto alle vite e a ciò che di “impresentabile” passa ancora “sotto i banchi”.

Il disagio, l’insicurezza, la fragilità e la violenza diffusa tra gli adolescenti, oltre al sessismo e alla pornografia online degli adulti, sono gli altri temi ricorrenti di una lamentazione collettiva che spinge quasi inevitabilmente, se non verso un inasprimento della carcerazione minorile, a una svolta dell’educazione in chiave patologica, con ricorso quasi esclusivo agli esperti, psicologi e sessuologi.

I social hanno senza dubbio modificato l’idea, che è stata del movimento antiautoritario nella scuola e del femminismo, di portare allo scoperto la materia di esperienza, la più universale dell’umano, sepolta nel “privato”, considerata “non politica”, fuori dalla cultura e dalla storia. Lo hanno fatto purtroppo ricalcando modalità note di spettacolarizzazione e voyeurismo, enfasi narcisistica e competizione, e lasciando di nuovo in ombra le consapevolezze che sono emerse da mezzo secolo e oltre fino ad oggi. Se la scuola rimane il deserto di un’educazione capace di andare alle radici dell’umano, il luogo di quell’analfabetismo dei sentimenti che è alla radice della violenza, i social non avranno difficoltà e prendere il sopravvento

il manifesto, 6 settembre 2025

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *