Pratiche di resistenza, analisi controcorrente, cultura alternativa, ricostruzione del legame sociale, solidarietà dal basso, autogestione. I centri sociali, nell’eterogeneità e dinamicità delle loro storie, veicolano conflitto, dissenso, libertà di pensiero.
Nell’antagonismo delle proposte politiche e nell’eterodossia delle espressioni musicali e artistiche, praticano forme di mutualismo e solidarietà sociale. La loro esistenza, al netto di qualsivoglia idealizzazione (come in tutte le esperienze non mancano contraddizioni, rigidità, ombre), rappresenta un elemento di vitalità della democrazia. E questo, a prescindere dal fatto che si condividano o meno approcci e azioni (e, sia chiaro, non è una presa di distanza).
La democrazia è pluralismo e conflitto, anche quando questo urta e inquieta. Aggiungo: i centri sociali si muovono nel segno della Costituzione. Costruiscono partecipazione effettiva; concretizzano il principio di solidarietà, che sia con gli sportelli (per i migranti, per il diritto alla casa), che sia con la costruzione di spazi di aggregazione sociale; esercitano diritti costituzionali come la libertà di manifestazione del pensiero e il diritto di riunione. Del resto, si può annotare, è la Costituzione stessa che “disturba”, è della Costituzione stessa che ci si vuol disfare: è una Costituzione antagonista al neoliberismo autoritario e alle brame belliche.
Per inciso, questo rende evidente l’errore del ragionamento “dopo il Leoncavallo, almeno sgomberate Casa Pound”: l’esperienza di Casa Pound è in radicale antitesi alla Costituzione, costituisce una riorganizzazione del partito fascista, vietata dalla Costituzione. Casa Pound va sgomberata in nome dell’antifascismo e dei valori ad esso sottesi, che la Costituzione (tutta) sancisce. Non sono situazioni equiparabili.
Veniamo alla questione dell’illegalità. Alcuni centri sociali sono occupati: vivono attraverso l’occupazione di un immobile. Due annotazioni. Primo: in una democrazia, vi deve essere «tolleranza del dissenso sino all’estremo limite possibile» (Passerin d’Entrèves); una democrazia non si regge sul comando e sull’obbedienza, sul principio di autorità, ma sulla partecipazione effettiva e sul dissenso. I centri sociali stimolano, interrogano, evidenziano le ambiguità della democrazia. La democrazia si spegne anche nell’apatia, nell’indifferenza, nella passività, nell’omologazione. Una democrazia, certo. Invero, lo sgombero del Leoncavallo è l’ennesimo segnale (in perfetta coerenza con la legge n. 80 del 2025, la legge sulla sicurezza) di una democrazia in rapida caduta verso l’autoritarismo: per il mutamento, di diritto e di fatto, delle sue forme istituzionali (premierato, sistemi elettorali escludenti, sottomissione della magistratura all’esecutivo), delle sue precondizioni (la garanzia, su base universale, dei diritti sociali e il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale), della sua essenza (il riconoscimento del conflitto nella pace, sostituito dalla normalizzazione della guerra e dalla costruzione del nemico).
Secondo: esistono altre vie rispetto allo sgombero – e nel caso del Leoncavallo erano in corso trattative con il Comune -, quali comodati, intese e forme giuridiche nuove come il bene comune (in tal senso, è la recente esperienza torinese del centro sociale Askatasuna); ricordando che la proprietà, per la nostra Costituzione, non è più un diritto “sacro e inviolabile” ma può essere limitata «allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti» (articolo 42).
Ancora. Lo sgombero restituisce la scelta per una sicurezza urbana unicamente concepita come ordine pubblico, in luogo della sicurezza sociale e dei diritti. È la sicurezza ad uso e consumo di un modello di città, la città consumista di Pasolini, la città capitalista, la global city, la smart city; è la città dalla quale estrarre valore di scambio (Milano ne è esempio paradigmatico con la sua ossessiva gentrificazione); è la città che occulta ed espelle le diseguaglianze con il daspo urbano; è la città vuota di relazioni dell’individualismo neoliberista. I centri sociali esprimono invece il senso di una città che affronta le sue contraddizioni, che si pone come luogo di vita, una vita dignitosa.
Lo sgombero del Leoncavallo è un altro passo nella chiusura degli spazi politici, nella costruzione di una falsa democrazia, forma piatta e levigata dietro la quale occultare diseguaglianze e reprimere divergenze. Apriamo crepe e scendiamo in piazza.
il manifesto, 6 settembre 2025