Il capitale “innocente” nella città neoliberale …di Filippo Barbera

Da qualche decennio le città e le aree metropolitane seguono gli stessi percorsi di “gentrificazione”: espulsione dei “poveri e marginali”, riqualificazione, ristrutturazioni, ammodernamento. Percosi che seguono schemi politici e affaristici che consolidano una rete di gestione ristretta delle città, capace di tenere insieme gli interessi dei grandi gruppi immobiliari e finanziari, del mondo culturale e dell’industria del divertimento. Non serve la corruzione quando l’urbanistica permette di modellare piani e varianti a favore di interessi particolari e svincolati dalla legge

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[…] Milano è la punta dell’iceberg di un paradigma urbano che ha reso opachi i confini tra pubblico e privato, tra legalità e legittimità, tra città pubblica e città privata, ha scritto anche Sarah Gainsforth su questo giornale. Gli indagati si dichiarano innocenti, «puliti», agenti di un meccanismo che non richiede tangenti come nella cosiddetta prima Repubblica ma agisce nelle pieghe e ai confini del diritto amministrativo, forzandolo, e costruendo coalizioni locali trasversali tra politica, business e legittimazione culturale.

Nella città neoliberale influenza e potere non circolano in modo fluido nel sistema locale, ma si legano simbioticamente a persone specifiche che si incaricano di dare una spinta gentile ai processi decisionali. Magari promettendo o ricevendo scambi di favori e incarichi, ben diversi dalla mazzetta tipica di Mani Pulite.

Giochi incrociati sotto gli occhi di tutti ma la cui natura criminale non è così facilmente documentabile. Un sistema privo di organizzazione formale, basato su forme del capitale sociale e culturale, habitus e «tic» di campo che si struttura all’incrocio tra relazioni formali ed espressive, sinceramente basate sull’amicizia e la stima reciproca. Cerchie di riconoscimento tra élite, all’incrocio tra saperi e poteri locali. Élite, va ricordato, che formano una coalizione urbana di centro-sinistra.
Un meccanismo fondato sul capitale sociale e culturale e che funziona grazie all’accumulazione di favori in un sistema di debiti/crediti. Si pensi a una persona (A) che aiuta un’altra (B), senza ricevere nulla in cambio immediato. A accumula uno «scontrino di credito» nei confronti di B o della rete sociale di comune appartenenza. Questo credito potrà poi essere speso più avanti, direttamente con B o indirettamente, quando A avrà bisogno di aiuto da altri membri della rete.

Questo è il punto: non serve corruzione conclamata quando l’urbanistica neoliberale permette di modellare piani e varianti a favore di interessi particolari, di scavalcare normative con operazioni tecniche, modifiche amministrative e interpretazioni favorevoli, di creare reti di riconoscimento che fanno sentire innocenti dai vincoli di legge, accumulando reputazione e stima e sedimentando status e prestigio.
Nella corruzione tradizionale – quella che si celebrava con bustarelle e scambi espliciti – sussisteva un atto illecito definito, un beneficio personale evidente, un processo riconoscibile e tracciabile. L’urbanistica neoliberale produce invece un «capitale innocente» in quanto anonimo, diluito in normative e prassi, ambiguo e opaco, pervicacemente piegato ai vantaggi privati, spesso invisibile, perché coperto dal velo della sincerità del reo e dei meccanismi di gruppo che alimentano le cerchie di riconoscimento di chi «agisce nell’interesse della città».

Così, la città neoliberale declina l’innocenza individuale come falsa coscienza collettiva. Lo fa non in modo individualizzato ma strutturale, creando un’atmosfera organizzativa dove le pressioni diventano meccanismi di appartenenza alle reti che contano e le forzature amministrative diventano «agilità gestionale» in nome dello sviluppo economico.

Filippo Barbera, il manifesto, 6 agosto 2025

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