Paolo (nome di fantasia) scriveva due anni fa al suo giudice tutelare, dopo che la detenzione domiciliare di 8 mesi per piccoli reati legati alla droga si è trasformata in segregazione nel circuito di residenze psichiatriche convenzionate con la regione Lazio. «Non voglio finire la mia vita in una Rsa e morirci – scriveva con una calligrafia regolare – ho ancora molte energie e non voglio annientarmi così. La vita è bella e io voglio viverla: non ricordarla, ma viverla».
Ludovica Jona ci racconta, su il manifesto, questa storia che tiene insieme il dolore di una persona, l’inadegiatezza della giustizia, gli affari sporchi della sanità privata e la deriva contenitiva della psichiatria