Sorge una città nel sud dell’Italia che è stata la culla della Magna Grecia abbracciata da due mari: chi la visita ne rimane folgorato per la bellezza e la storia millenaria, visto che è stata fondata nel 706 avanti Cristo. Eppure…
Eppure da due decenni è banalmente la città dell’Ilva!
È solo una delle offese che vengono inopinatamente fatte a Taranto: non è più la sede di uno dei musei archeologici più importanti d’Italia e d’Europa (sono decine di migliaia i visitatori del MArTa, ogni anno), non quella del Castello aragonese (fortezza medievale tra le più ammirate), ma il territorio che ospita il siderurgico più grande e più inquinante d’Europa.
Quella fabbrica, sebbene stia lentamente collassando per conto suo, è ancora in grado di distribuire diossine e morti, benzene e malattie, polveri sottili e dolore. Ed ora alle emissioni dell’impianto, un’acciaieria a ciclo integrale, che hanno contribuito a un’alta concentrazione di sostanze inquinanti nell’aria e nell’ambiente circostante, con conseguenze negative sulla salute pubblica e sull’ecosistema, si vogliono aggiungere i rischi di una nave rigassificatrice ancorata in porto (o in alternativa dislocata a Vibo Valentia) per trasformare in elettrici gli altiforni.
Una città stremata ha raccolto tutte le sue energie residue per gridare a chi doveva apporre una firma alla continuazione della produzione con modalità obsolete e altamente insalubri, ‘Chiudete quel mostro!’, ‘Bloccate il catorcio!’
In piazza erano davvero in tantissimi a portare la propria indignazione e la voglia di un futuro fatto di aria pulita e mare incontaminato: l’iniziativa è stata organizzata da Giustizia per Taranto, forse l’associazione ambientalista con più soci (in tutt’Italia!) dell’intera provincia.
Abbiamo raggiunto telefonicamente, per una intervista, Massimo Ruggieri che di Giustizia per Taranto è il presidente.