Poliziotto condannato per la mattanza alla Diaz, a Genova, diventa Questore di Monza
Mario Di Vito ci racconta, su il manifesto, questa storia di ordinario potere. Lo Stato di polizia ha bisogno di fedeli “servitori dello Stato” e dell’impunità della polizia!
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Ventiquattro anni dopo la mattanza del G8 di Genova, tutto è cancellato. Non è successo niente o, se proprio dev’essere successo qualcosa, ormai tutto è caduto nel dimenticatoio. E così accade che un funzionario di polizia condannato in via definitiva per i fatti della scuola Diaz diventa questore. È’ il caso di Filippo Ferri, che il prossimo primo giugno prenderà servizio a Monza, dopo aver passato gli ultimi anni alla polizia ferroviaria di Milano. In precedenza era stato consulente per la sicurezza del Milan nel periodo in cui non poteva indossare la divisa per effetto della sentenza di Cassazione che il 5 luglio del 2012 lo aveva condannato a tre anni e otto mesi per falso aggravato, con pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
La notte del 21 luglio del 2021, nel complesso del liceo Pertini di Genova, ex scuola Diaz, adibito a centro stampa del Genova Social Forum, i reparti mobili della polizia e i battaglioni dei carabinieri fecero irruzione. La violenzò dilago è gli arrestati alla fine furono 93, 61 dei quali risultarono feriti. Di questi tre finirono in prognosi riservata e uno in coma. Il percorso giudiziario per i poliziotti e i carabinieri fu parecchio travagliato, soprattutto perché risultò sostanzialmente impossibile per gli inquirenti definire nello specifico le varie responsabilità in quella che un vicequestore arrivò a definire come «macelleria messicana».
È dall’ultima sentenza di merito, quella della Corte d’appello di Genova del 18 maggio del 2010 che possiamo ricostruire quanto fatto da Ferri alla Diaz.
Per i giudici l’allora capo della squadra mobile di La Spezia, salito a Genova proprio per gestire l’ordine pubblico durante il G8, «è coinvolto nei fatti dal principio» perché, quella sera, era tra i «pattuglioni» che in teoria avrebbero dovuto trovare e arrestare i black bloc, la frangia di manifestanti ritenuta responsabile dei tafferugli di quelle giornate. Ferri arrivò alla Diaz «addirittura in tempo epr vedere il cancello prima che venisse chiuso dagli occupanti» nell’estremo tentativo di non far entrare polizia e carabinieri. È lui poi che in un secondo momento, insieme ad altri due colleghi, si incaricò di redigere il verbale degli arresti.
Scrivono infatti i giudici di Genova che «è al dottor Ferri che vanno sostanzialmente riferiti il momento decisionale e l’elaborazione tecnico-giuridica relativi alla scelta di contestare agli occupanti il reato di associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio», oltre che ovviamente la decisione di procedere agli arresti sulla base delle perquisizioni effettuate.
È la storia delle presunte due bottiglie molotov, in realtà sequestrate nel pomeriggio, e degli attrezzi da lavoro provenienti da un cantiere vicino: le cosiddette prove della presenza di «violenti» nella Diaz. Per convincere un altro funzionario di polizia perplesso dall’evidente forzatura, inoltre, Ferri ha pure sostenuto che in seguito «l’autorità giudiziaria sarebbe stata libera di qualificare diversamente i fatti». A questo scopo venne persino convocato l’addetto stampa. «Tale fatto – si legge ancora nella sentenza – lungi dal provare la buona fede degli imputati conferma la finalità mediatica dell’operazione». È soprattutto per questi motivi che Ferri è stato condannato, insieme ad altri suoi colleghi. La salvezza dall’altro capo d’imputazione, l’arresto illegale, arrivò solo per avvenuta prescrizione.
Mario Di Vito, il manifesto, 24 maggio 2025