La convergenza femminista …di Maria Galindo

Quindi come costruire una convergenza femminista? Come costruire un punto di coesione, di contenzione o quel qualcosa che ci riunisca tutte? […]

Il dissenso arricchisce, la non uniformità dei femminismi arricchisce, ma abbiamo bisogno di un punto di convergenza, un filo che ci connetta come movimento planetario. Un filo che ci permetta di leggerci e riconoscerci le une con le altre senza perdere le differenze, senza ridurre le differenze a una sola matrice, a una sola possibilità, a una sola genealogia. Abbiamo bisogno di un punto di convergenza che ci serva da specchio e che rappresenti quello che io chiamo il senso di un’epoca per noi e per tutte le nostre lotte, il senso di un’epoca utopico, lungo, largo, che contiene e che agita, provocatorio, seduttore, sedizioso, assetato, che non minimizzi né relativizzi alcuna lotta, che non senta come egemonica alcuna tematica e che non implichi il segnalare una sola avanguardia.

Né l’uguaglianza uomo donna, né i denominati diritti delle donne funzionano come tali perché entrambi sono stati deglutiti dal sistema, dal capitalismo, dal neoliberalismo, dalla lavatrice della storia che li ha convertiti in retorica scartabile dopo l’uso conveniente del politico di turno. Nemmeno le lotte specifiche come l’aborto o contro i femminicidi hanno giocato quel ruolo perché sono lotte circolari, reiterative che, in un gioco al macabro, iniziano dove finiscono e, nonostante siano fondamentali, riducono il nostro senso politico e diventano strumenti di negoziazione a uso dello Stato e dei partiti politici.
Finiamo proprio dove non volevamo stare, finiamo per essere negoziate con le forze conservatrici, dagli Stati che ci ricattano più e più volte.

Permettetemi di dirvi che la depatriarcalizzazione è quella parola, è quel luogo, è quella chiave, è quel concetto che può inglobare, creare coesione, aprire a un nuovo senso di epoca, identificarsi come un’utopia generale all’interno della quale ricamare contenuti così come senso collettivo in cui inscrivere pratiche e saperi. “Depatriarcare”, così in forma di verbo, è quello che vorremmo fare e che facciamo noi femministe con la famiglia, con la terra, con il cibo, con il lavoro, con l’arte, con la vita quotidiana, con lo spazio, con la salute, con il sesso. Il nostro non è un progetto di diritti, è un progetto di trasformazione di strutture e la depatriarcalizzazione come orizzonte di un’epoca riflette precisamente questo. È una grande porta dove possono stare caoticamente tutte le nostre lotte.
La depatriarcalizzazione si situa, inoltre, come un movimento assetato e insaziabile che non può venir divorato né negoziato da interessi o gruppi o governi.

Maria Galando, Comune, 24 settembre 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *